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giovedì 12 luglio 2012

GLI OCCHI DEI BAMBINI

Athos Turchi

Occhi che ti scrutano, occhi che ti osservano, occhi che ti seguono. Occhietti che si aprono, si chiudono, s’illuminano. E poi brillano, si adombrano, piangono. Volti che unanimi ti guardano, e poi vergognosi girano, e poi tornano a guardarti. Sorrisi che si schiudono: bianche perline si ordinano sul volto scuro per dare gioia ai due occhietti che attenti si aprono e si chiudono. Sono i bambini dell’aldea.

Come una cucciolata ben affiatata si avvicinano guardinghi, apri loro una mano con qualche caramella, e si guardano tra di loro come per intendersi, il più audace allunga una timida mano e prende la golosina: il ghiaccio è rotto! Arrivano tutti e in batter d’occhio il palmo è vuoto, e tu li hai addosso: «como te llamas? Eres italiano? De donde? Tomame una foto! L’abuelo, l'abuelo!! » Ueh, a me nonno non me l’ha detto nessuno, come ti permetti! Il più piccolo però non s’impressiona: abuelo! Ribadisce. Eccoli tutti compatti che toccano la barba, il cappello, vogliono esser presi in collo. Ma non hanno mai visto un bianco? Non hanno mai assaltato p.Ottavio? E l’esperto agronomo del Minnesota?
Sono i bambini dell’aldea.

L’occhio è la tua luce: se l’occhio è terso tutto di te è nella luce,  ma se il tuo occhio è buio vuol dire che sei notte. Gli occhi dei bambini sono la luce di un popolo, se questi occhi si spengono tutto il popolo è al buio. Ed ecco allora quanto è importante questa parte della popolazione affinché possa tenere sempre più a lungo occhi da bambino.
La bimba che da dietro sorregge un’altra più piccola mi guarda, m’indaga, mi fruga la faccia, e quando mi giro verso di lei e incrocio i suoi occhi, ritrae vergognosa il volto e timida si gira. Il bambino invece è interessato alla mia macchina fotografica: la tocca, pigia qualche pulsante, la gira. Un altro è interessato ai miei sandali, che spuntano da mezzo il gruppo.
Sono i bambini dell’aldea.

Che cosa – mi chiedo – passa per la loro testa, cosa gira nei loro pensieri, chi sono io per loro, cosa vedono di me, come mi pensano e come mi vedono? Vorrei chiedere a ciascuno: che cosa vedi di me da dentro dei tuoi occhi? Quale imagine o che cosa impressiona di me i tuoi occhi? Normalmente sono gli adulti che dicono ai bambini cosa vedere, cosa pensare, cosa fare, ma se una volta tanto ci facessimo dire al contrario che cosa dovrebbero fare secondo i bambini gli adulti… che mondo ci apparirebbe? Sarebbe questa una bella prova: fare quello che ci dice il bambino. Cerco d’immaginare… non saremmo più razzisti, ci fideremo ciecamente degli altri, saremo umili, non saremo boriosi, non saremo avidi di beni, saremo attenti a quanto ci viene detto, e così via. Mica poco!

Ecco perché è importante non solo aver cura dei bambini ma anche dar  loro un posto dignitoso nella società, che ha sempre bisogno di essi. In Guatemala, leggevo nel giornale, c’è un vero disinteresse per il bambino, non tanto che non gli si voglia bene – è pur sempre un figlio –, ma non è importante all’interno dello sviluppo sociale. Forse perché ce ne sono tanti, al contrario dell’Italia dove la rarità dei bambini li pone come beni preziosi. Ma il risultato alla fine è lo stesso: la trascuratezza educativa, da un lato, o l’eccesso di possesso e di attenzione materiale, dall’altro, porta alla stessa conclusione: il bambino è un oggetto e non è valorizzato in se stesso, non è un soggetto da educare. Così da un lato vengono su con istinti salvaggi, dall’altro vengono su già drogati di averi e di possesso, e in tal modo sono la rovina della società anziché esserne il motore portante e il tramite di civilizzazione. Due mondi, due infanzie, due educazioni, uno stesso risultato: il dramma di una civiltà futura senza valori e senza ideali.
Ora sono io che frugo dentro gli occhi loro per vedere questi ideali e  questi valori, e il mio sguardo li turba, perché si sentono invasi nel loro profondo, nel loro intimo, come avessero paura che sia lì a rubare loro il bene più prezioso che hanno: l’innocenza. Torno a sorridere, torno a giocare, torno a far foto, e loro riprendono la loro allegria intorno a me. È bella questa innocenza, che indica trasperenza, anzi di più: che i bambini sono incapaci, per i loro occhi chiari, di opporre resistenza, cosa che gli adulti sanno ben fare. L’occhio del bambino non ha ancora serrande e così può essere quella luce che brilla nella notte degli adulti, nella notte delle
popolazioni perse nel buio del denaro e delle passioni.

Sono i bambini dell’aldea.