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lunedì 24 febbraio 2014

Laboratori al Collegio San Martin de Porres

I ragazzi del collegio San Martin de Porres (Dolores) hanno risposto con grande interesse ed entusiasmo ai laboratori proposti dal Circo Inzir.. per le prossime due settimane si cimenteranno in teatro fisico, acrobatica aerea, equilibrismo e giocoleria.
video clicca qua

sabato 22 febbraio 2014

Circo Inzir a Los Arroyos

VIDEO  (bellissimo!!!!)
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Sono Passati ormai 5 giorni da quando è arrivato il “gruppo banana” (Cit, Pietro, Andrea, Nico e Enrico), i loro visi da pallidi sono di colpo passati al rosso peperone.
Martedì, qui nel collegio abbiamo fatto il primo spettacolo tutti insieme. E’ stata una serata di festa, prima di noi si sono esibiti nella cancha vari gruppi di studenti: chi cantava, chi ballava, chi eseguiva figure acrobatiche.
Il nostro spettacolo è andato bene anche se un po’ confuso, ci si deve ancora calibrare.
Il giorno dopo (mercoledì) io, Pietro, Saran e Sandro siamo rimasti al collegio per portare avanti i laboratori mentre tutti gli altri sono andati nell’aldea di S. Marco per fare spettacolo.
Al ritorno avevano gli stessi occhi che avevamo io e Sandro quando siamo andati lì la prima volta. (diario 08-02)
Descriverli in una parola?
Pieni.
Sprigionavano quella particolare luce che emana chi in quel momento ha capito qualcosa di importante.
Alla domanda:” Com’è andata?” più di qualcuno ha risposto gonfiando il petto e scuotendo la testa, cercando di dire qualcosa che però è rimasto bloccato gola, perchè è troppo più grande delle parole che si vorrebbero usare per descriverlo.
E’ già giovedì.
Un giorno che aspettavamo con curiosità.
Sveglia all’alba, colazione, finire di preparare velocemente lo zaino: sacco a pelo, zanzariera, ciascuno il minimo dei propri attrezzi da circo, costume da spettacolo, acqua e il sacchetto del cibo contenete 2 banane, 1 mela, 2 biscotti, 2 panini.
Alle 6:25, puntuale come un orologio svizzero, arriva Padre Ottavio, alle 6:40, con soli 10 minuti di ritardo, si parte. Mai visto Circo InZir essere così “quasi puntuale”, inizio a credere ai miracoli.
Dopo mezz’ora di macchina, passando per colline umide e valli ancora coccolate dalla nebbia del mattino, arriviamo a Sokultè, una delle prime aldee che si incontrano a sud di Dolores.
Parcheggiamo il pick-up e Terricola nell’aia della casa di Emilio
Il primo cavallo, quello sellato per il Padre è già lì a ruminare serafico, gli altri tre arriveranno da lì a un quarto d’ora, in trenta minuti saranno già pronti per seguirci con tutti i nostri zaini in groppa.
Nell’attesa ho modo di osservarci un po’, sembriamo, più del solito, scolaretti in gita.
Il nostro aspetto in generale è un mix grottesco tra gadget hi-tec basso costo e abbigliamento totalmente inadeguato.
Un gruppo di bambini ci osserva mantenendo una distanza di sicurezza, se avessero avuto delle noccioline probabilmente ce le avrebbero tirate.
Fortunatamente suona la campanella della scuola e i nanerottoli curiosi corrono via.
Alle 7:30 tutto è pronto, si parte, direzione Los Arroyos, aldea raggiungibile solo a piedi o a cavallo, 4 ore di cammino stimate.
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Nonostante la levataccia l’umore del gruppo è buono, tagliamo attraverso una valle piena di sole, quello fresco e benevolo del mattino, quello che sembra dirti:”dai che ce la farai!”
Alla testa di questa che sembra l’armata Brancaleone c’è Padre Ottavio a cavallo, chiudono i tre cavalli da soma coi loro padroni, con noi è venuto anche Emilio.
Attraversiamo la valle guadando un torrente d’acqua fresca e limpida e subito dopo inizia la salita.
Un’ora di salita durissima su un terreno fatto di argilla e pietre.
L’umore resta buono, le magliette si bagnano di sudore, il fiato si fa corto.
Quasi alla fine della salita finalmente si entra nella foresta, l’aria è umida ma almeno il sole, che nel frattempo ha smesso di essere gentile, smette di arrostirti.
Non è una foresta fittissima ma è comunque uno spettacolo di alberi, piante che per noi sono stranissime e felci alte fino a 6 – 7 metri. Non avevo mai visto felci così alte, sembrano palme in miniatura.
Il gruppo inizia a sfilacciarsi.
La prima pausa è alla fine della salita, ai piedi di una torre di legno alta una ventina di metri, sulla quale, incuranti della fatica decidiamo di salire a turno.
Così la prima pausa ce la giochiamo salendo e scendendo gradini, per nulla riposati ripartiamo.
E’ il turno del fango.
Nella foresta le scarpe s’incollano al suolo, se metti il piede nel punto sbagliato il fango ti arriva fin sotto il ginocchio, ci sono punti in cui è impossibile trovare della terra solida, così ti metti il cuore in pace e avanzi sprofondando.
Dopo una ripida discesa arriviamo in un secondo torrente immerso nel bosco.
Qui facciamo una seconda pausa, giusto il tempo di lavarsi la faccia e la testa.
Emilio dice che l’acqua si può bere, così faccio un piccolo sorso, lo stomaco si dovrà pur abituare piano piano a nuovi batteri.
Quando usciamo dalla foresta si apre davanti a noi uno scenario d’incanto, sommità smussate di colline a perdita d’occhio, nessun segno dell’ingegno umano, se non qualche recinto qua e là.
Il paesaggio sarebbe davvero bello solo che lo puoi guardare di sfuggita, lo sguardo infatti è sempre rivolto in basso nel goffo tentativo di evitare buche, pietre e fango.
Dopo 2 ore e mezzo di cammino l’umore resta buono, le magliette restano sudate e i pantaloni ricoperti di fango.
Emilio ci avvisa che siamo ad una mezz’oretta da Los Arroyos, il gruppo ha tenuto una buona andatura.
In quest’ultimo tratto Emilio si lascia un po’ andare e inizia ad istruirci un po’ sulla flora del posto.
Di tanto in tanto si ferma raccoglie una pianta e spiega a cosa serve.
C’è il Narciso Silvestre che se lo rompi proprio sotto la florescienza ne ricavi il latte utilizzato per combattere dei simpatici vermetti che si infilano sotto la pelle.
C’è la Santa Maria il cui gambo, opportunamente sbucciato diventa una prelibatezza.
Poi c’è una pianta di cui non ricordo il nome, le cui foglie ricordano vagamente il Tarassaco nostrano e che viene usata per curare la malaria.
Io e Nico l’abbiamo assaggiata … è la cosa più amara di questo mondo!
Nico subito intravede la possibilità di ricavarne una bevanda che oltre il corpo curi anche lo spirito … con un po’ di fermentazione in più …
Poi un altro fiore capace di alleviare i fastidi causati da malefici moschini presenti nella zona.
Sulla nostra strada, ormai prossimi all’aldea, incontriamo un terzo torrente e questa volta non resistiamo.
Dopo quasi tre ore di marcia serrata siamo tutti in mutande immersi nell’acqua fresca, intanto Padre Ottavio va avanti, noi lo raggiungeremo a breve.
Nell’ultimo tratto c’è giusto il tempo per un ultimo gradito incontro.
Noi le chiamiamo scimmie ragno, i guatemaltechi invece le danno il nome molto più appropriato di Micoleones (scimmia leone).
Si tratta di una scimmietta con una coda non troppo lunga, un essere marroncino di circa 50cm dagli occhi neri e grandi, con dei movimenti sinuosi simili ai felini.
Il tempo di farle due foto e ripartiamo, lei ci segue per una decina di metri dall’alto degli alberi poi si abissa nella foresta.
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Finalmente arriviamo a destinazione. Los Arroyos è un’aldea di poche case arroccate su una collina. Qui vivono una trentina di famiglie, per raggiungere la prima strada carrabile gli abitanti devono percorrere tre ore di cammino.
Eppure c’è una scuola, c’è la chiesa e, con grande fatica, stanno spianando una zona per farne un campo da calcio… per ora c’è solo una porta e se sbagli mira il pallone lo raccogli a valle.
Quando arriviamo Padre Ottavio è circondato da bambini, seduto all’ombra di un edificio adiacente alla chiesa.
Salutiamo i bambini, salutiamo gli adulti presenti e salutiamo le donne che stanno già cucinando per noi. La cucina è in argilla, ovviamente a legna, e le cuoche battono le mani ritmicamente, Andrea dice che è “in levare”, ma non è un applauso, è così che si fanno le tortillas di mais.
Si può immaginare come in un paesino così sperduto, dove per recuperare l’acqua devi fare 15 minuti di discesa e 20-25 di salita, dove il fabbisogno comunitario è quasi l’unico bisogno, beh si può immaginare che rivoluzione possa essere l’arrivo di 15 bocche da sfamare.
Il pranzo è ricco, galline in brodo, e che brodo, fagioli, riso e delle splendide tortillas appena fatte, da bere acqua e limone.
L’umore resta buono ma siamo devastati dalla fatica e bolliti dal sole. Intorno all’aldea non ci sono quasi più alberi, a causa del vento forte e del terreno argilloso, hanno dovuto abbattere quelle piante che minacciavano tetti e case.
Siamo distrutti, Mattia, Tati e Gabo trovano quattro assi di legno sotto una tettoia un po’ più a valle e si stendono lì.
Enrico tenta l’impossibile: addormentarsi sotto il sole sul tronco di un grande albero abbattuto… e ce la fa…
Nico e Gera, presi dal compulsivismo del giocoliere lanciano in aria clave.
Io mi muovo come un’anima in pena in cerca di un posto all’ombra dove sdraiarmi.
Dopo poco, Enrico, raggiunto il punto di cottura ideale, si alza, prende la fisarmonica che ha stoicamente portato in spalla per tutto il cammino, e si unisce ad Andrea per suonare qualcosa. Io e Cit intanto cerchiamo di sistemare due chitarre un po’ acciaccate, ma nulla da fare: un “La” abbandona definitivamente questo mondo mentre l’altra chitarra non riesce a tenere l’accordatura per più di venti secondi.
Arriva il momento dello spettacolo, questa volta l’orario è abbastanza proibitivo, sono le 4 e mezza e il sole è ancora bello alto, il pubblico è all’ombra, noi sudiamo gli ultimi sali minerali.
La performance è divertente ,seppur ridotta vista l’impossibilità di portare le strutture pesanti per filo teso e trapezio.
Noi ci divertiamo a farlo e quelle 30-40 persone di pubblico a guardarlo.
Appena finito torniamo in quella che sarà la nostra casetta per la notte, un cane si è mangiato la mia merenda e la mia colazione del giorno dopo.
La nostra casetta a Los Arroyos è l’ambulatorio del paese, ossia 4 muri fatti con assi di legno, tetto di lamiera e il pavimento di terra.
Si cena alle 5, questa volta riso, fagioli, patate e un tubero bianco squisito, simile alla patata.
Dopo cena si presto buio, giusto in tempo di gustarci un tramonto di arancio e pace dalla parte più alta della collina su cui poggia l’aldea.
Quando fa buio l’unica luce nel raggio di km e km è quella della chiesetta di legno. L’instancabile Padre Ottavio è dentro che confessa i fedeli, la fila è lunga visto che riesce a raggiungere questa parrocchia solo 3-4 volte l’anno.
A coprire le ammissioni di colpa dei credenti c’è una canzoncina suonata alla buona con la pianola.
Noi intanto, una volta sistemate amache e assi di legno per dormire, usciamo e ci sediamo ricoperti da miliardi di stelle.
Questi posti ti pacificano il cuore dice Andrea ed ha ragione. Queste stelle aggiustano tutto quello che hai di rotto dentro.
Bambini giocano e corrono al buio intorno a noi. Sentiamo che la messa ha avuto inizio, nel giro di 20 minuti, un po’ alla volta ci infiliamo nei sacchi a pelo.
La notte…
ci sarebbero due modi per descrivervi questa notte: uno poetico e l’altro no.
Sceglierò il secondo.
Il vento forte è stato una costante, tutta la casa scalpitava e tremava, le lamiere sembrava che stessero per staccarsi da un momento all’altro.
Qualcuno ha dormito avvolto nel sacco a pelo su assi di legno e qualcun altro in amaca, la mia, a basso costo in nylon, è in assoluto l’amaca più scomoda sulla quale abbia mai dormito.
Verso l’alba il vento si è calmato ed è stata la volta di zanzare e moscerini cattivissimi.
Insomma una notte insonne quasi per tutti.
Prima di dormire abbiamo avuto una lotta con uno scorpione che si aggirava indisturbato sul pavimento.
Per quel che riguarda le zecche invece la classifica vede il sottoscritto al comando a quota 3, seguito da Sandro e Mattia a 2, in coda Sara e Tati con 1 assalto all’attivo.
Il ritorno è stato più piacevole del previsto nessuno è stato colto da nervosismo dovuto alla stanchezza. L’umore è rimasto buono e cuori leggeri.
E’ valsa la pena fare tutto questo per fare uno spettacolo per 30 – 40 persone?
Assolutamente si, lì su mai nessun circo era arrivato prima, in quelle poche persone ci sono sono tutti i perchè di Circo InZir, in quelle risate sincere tutto l’oro del mondo.

VIDEO  (bellissimo!!!!)

giovedì 20 febbraio 2014

Corso per elettricista

In questi giorni alla scuola San Martin de Porres TORE (volontario di Nuoro) tiene un corso per elettricisti


con il corso iniziato a Dolores con i ragazzi del collegio e spero con un due gruppi esterni ho prefissato i seguenti OBIETTIVI:
  • Acquisire il concetto dell’energia e sue trasformazioni.
  • Conoscere i componenti di un circuito elettrico.
  • Conoscenza dei concetti fondamentali legati all’elettricità. (Intensità di corrente. Resistenza elettrica, Voltaggio, Potenza elettrica) e loro interdipendenza; legge di OHM, attraverso sperimentazioni pratiche.
  • Conoscenza dei materiali conduttori ed isolanti.
  • Conoscenza dei circuiti in serie e parallelo.
  • Conoscenza dei pericoli legati alla corrente elettrica in particolare nell’ambiente domestico e delle precauzioni da adottare.
  • Saper utilizzare attrezzi e strumenti di misura della corrente elettrica.
  • Saper interpretare schemi elettrici con relativa simbologia.
  • Saper riconoscere il funzionamento di un piccolo elettrodomestico.
  • Saper riconoscere i componenti elettrici ed elettronici.
  • Analisi dei componenti di un circuito elettrico.
  • Analisi degli attrezzi e strumenti per il montaggio e smontaggio di un circuito elettrico.
  • Esecuzione dell’impianto elettrico in una abitazione e officina .


 

martedì 18 febbraio 2014

CIRCO INZIR … Diario bagnato diario fortunato …

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Sabato, secondo spettacolo di Circo InZir nel Petèn, aldea di Esmeralda.
La Cèiba è un albero, una pianta maestosa che a forza di pioggia e sole arriva ad una altezza di una quarantina di metri.
Il tronco liscio e dritto sale su senza rami intermedi, poi all’improvviso fa esplodere una chioma che sembra sorreggere il cielo.
Per i maya era una divinità, per il Guatemala odierno è il simbolo nazionale, per i contadini una certezza, per noi, passanti occasionali, è una meraviglia che ti fa spalancare gli occhi e aprire la bocca.
Stanno lì, immobili, con quell’aria protettiva che ti fa venire voglia di saltare giù dalla jeep, correre nel fango e andare ad abbracciarle per gustare e approfittare di tutta la loro immensa energia. Ti fa venire voglia di arrampicarti fino in cima, lasciarti cullare e quando sale la luna sussurrarle piano in un orecchio quelle 2 o 3 cose che volevi dirle già da un po’.
Tutto questo splendore ha radici che sprofondano in terra intrisa di violenza e umanità.
L’altro ieri (sabato), prima dello spettacolo, siamo andati a far visita a Marcelo (nome di fantasia).
Marcelo è un uomo sui 60 anni credo, qui è difficile stabilire l’età delle persone.
Il nostro ospite è a capo della cooperativa di agricoltori e allevatori che rappresenta il centro nevralgico dell’aldea di Esmeralda.
Questa aldea ha una storia particolare.
Negli anni a cavallo del 1980 la guerra civile vive uno dei momenti più duri, il presidente Romeo Lucas García attua una delle repressioni più violente mai avute in tutta l’America Latina.
In quegli anni vengono completamente distrutte circa 400 aldee.
I contadini, considerati potenziali alleati della guerriglia vengono eliminati indistintamente.
Marcelo quel giorno, siamo nel 1980, è a lavorare nel suo campo di mais, uno dei suoi 3 figli corre ad avvertirlo che in paese è arrivato l’esercito e lo stanno cercando.
I militari, nel tentativo di prendere tutti gli uomini setacciano il paese e i campi.
Marcelo, come tanti altri, corre verso la selva, è il caos, nella fuga disperata padre e figli si perdono.
Probabilmente Marcelo spera di poter ritornare a casa dopo qualche giorno … non tornerà mai più.
Passerà 7 anni (!) nella foresta, senza casa ne vestiti, spostandosi in continuazione avendo come unico riparo un telo di nylon.
Dopo poco arriva a sapere che la sua sposa è stata arrestata, violentata, torturata e infine uccisa.
Dopo questi 7 anni riesce a fuggire in Messico, tornerà in Guatemala solo nel 1995, non più però nella sua terra natia.
Dei suoi 3 figli uno è in Italia, ma l’ha scoperto dopo 27 anni e ancora non è riuscito ad incontrarlo, due sono in un’altra zona del Guatemala.
Quello che ha vissuto Marcelo l’hanno vissuto in tanti e ora il presidente del Guatemala è uno di quei loschi figuri che in quegl’anni comandava l’esercito.
Qui la parola pace si pronuncia alzando gli occhi al cielo e stringendo i denti.
Nella foresta prima e in Messico poi i fuggiaschi si sono riuniti in piccoli gruppi per sopravvivere.
Il gruppo di Marcelo è diventato con gli anni multietnico.
Il saper organizzarsi per procacciare il cibo e poter fuggire tempestivamente, la ferrea disciplina e il condividere per non soccombere hanno creato quel seme da cui è nata l’esperienza di Esmeralda, dove oggi convivono ben 7 etnie diverse.
Qui i contadini prima e gli allevatori poi si sono organizzati in una cooperativa.
Questo sta permettendo loro di affrontare meglio l’arroganza e la prepotenza dei grandi capitalisti.
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La visita termina, dobbiamo prepararci per lo spettacolo.
Subito ci sembra quasi impossibile, dopo questi racconti, trovare in noi l’energia giusta pe far ridere la gente.
Poi però, quando iniziano ad apparire da ogni lato le persone a riempire le gradinate della cancha (campo sportivo) tutto cambia.
Sono i loro occhi, il loro desiderio di svago a trasformare i sentimenti dentro i nostri cuori.
Si parte, questa volta il calore del pubblico si percepisce in maniera netta e distinta.
Primo numero … secondo numero … acquazzone … tonnellate d’acqua … spettacolo finito.
Qualcuna va verso casa mentre la maggior parte della gente si ripara sotto l’ampia tettoia del negozio della cooperativa.
Il temporale non da cenni di voler andarsene, così, prima che arrivi la notte, io e Sandro decidiamo di fare il numero di passing di clave sotto l’acqua.
Il pubblico da sotto la tettoia apprezza il gesto e lo dimostra con sonori applausi.
Arriva il buio, l’acqua continua a venir giù e si sa, col buio la cosa più bella da guardare è il fuoco, così è Mattia coi suoi bastoni a illuminare gli animi.
Il pubblico continua a gradire.
Finito il numero di Mattia smette di piovere.
Il sole intanto ha terminato la sua corsa verso occidente e noi smontiamo tutte le strutture con l’ausilio di provvidenziali torcette elettriche … qui l’elettricità non arriva …
Sale una splendida luna piena.
Ieri (domenica) è la volta del terzo spettacolo.
Siamo nell’aldea di Boca De Monte, a due passi da Dolores.
Tanta, tantissima gente, le gradinate della solita cancha sono piene, di lato 3 o 4 file di gente e anche dietro, nel prato fangoso ancora tantissimi occhietti fissi su di noi.
Alle 5 in punto iniziamo, alle 5 e 1 minuto inizia a piovere, una pioggia gentile, un generoso rinfresco dopo un pomeriggio passato a montare sotto il sole.
Ci guardiamo, non parliamo, ma ognuno di noi sa quello che pensa l’altro :” Anche oggi no!!!”
Quando la voce finalmente esce la domanda è :” ci crediamo?!” la risposta è :”SI!”
Anche il nostro pubblico ci crede, nessuno si muove, nessuno apre un ombrello e la “buena onda” di tutti caccia via le nuvole.
Lo spettacolo fila liscio come l’olio. Ce ne andiamo col cuore in pace e l’animo felice.
Quando carichiamo Terricola non dobbiamo muovere un dito, si forma una cordata di volontari che quasi si offende se gli togli la possibilità di aiutarti …
piccole grandi cose tra esseri umani … scambi di amicizia che riscaldano …
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Intanto i laboratori qui in collegio proseguono.
Abbiamo veramente poche ore a disposizione con i ragazzi ma è un piacere fargli lezione.
Sono svegli ed educati e hanno una gran voglia di imparare, tant’è che quando possiamo dopo cena organizziamo l’allenamento libero di giocoleria.
Se la giocoleria vince sull’abituale partita di calcetto vuol dire che l’entusiasmo c’è eccome …
Oggi sono arrivati Cit, Pietro, Andrea, Nico ed Enrico, giunti nel cuore della notte è stato bellissimo abbracciarli.
Dopo 40 ore di viaggio erano 5 straccetti rimbambiti eppure stamattina erano tutti svegli molto presto, carichi come giocattoli a molla.
Ora aspettiamo che finisca Sara la classe di teatro e poi porteremo questi visi pallidi a fare un giro nel bosco.
Ah, quasi dimenticavo, Gabo e Tati hanno portato Terricola dal dottore (meccanico) ….
speriamo in una diagnosi non troppo costosa ….

lunedì 17 febbraio 2014

Circo Inzir primo spettacolo a LOS OLIVOS

Sveglia alle 7, io e mattia diamo una mano a Gabo per terminare la struttura delle aeree che sarà pronta in tempi record : 2 giorni e una mezza mattinata.
Sara, Gera e Tati sono in cucina a preparare i viveri per la giornata.
A completare la squadra, oltre noi del circo, ci sono Padre Ottavio, Enrique (il ragazzo che ci aveva accolto nel collegio) e Tore, nuova conoscenza arrivata direttamente dalla provincia di Nuoro, un omone di 60 anni composto per il 90 % di tenerezza e il 10 % di barba.
Gabo ha appena finito di dare l’ultimo punto di saldatura quando arriva Ottavio. Carichiamo tutta l’attrezzatura e saliamo col Padre sul suo pick-up io, Tore, Mattia, Sara e Gera, questi ultimi 2, in preda all’entusiasmo salgono sul cassone, gli altri si accomodano su Terricola (il nostro furgone).
L’umore è buono e il cielo è grigio, si parte per Los Olivos, si prospettano davanti a noi più di tre ore di strada difficile.
Quando dico difficile intendo km e km di sterrato fatto di fango, buche, salite e discese impervie.
Siamo Preoccupati per Terricola che in fondo rimane una “ragazza” di città, col pianale bello alto ma pur sempre abituata al massimo ad autostrade e statali.
Dopo 5 minuti di viaggio un primo potente scroscione d’acqua fa riconsiderare la modalità di viaggio a Sara e Gera, che, già un po’ umidi, si accomodano con noi nell’abitacolo.
Passa mezz’ora e, dopo una svolta a destra, le condizioni meteo e della strada peggiorano decisamente, fiumi d’acqua si riversano dalle colline sul nostro cammino, Terricola a quel punto ci stupisce tirando fuori tutta la potenza dei suoi 8 cilindri e arrampicandosi ovunque.
Gabo la guida con delicatezza e spavalderia, in fondo lo sappiamo tutti, lui sta pensando al “Lando”, il suo Land Rover del 1981 che ha lasciato a Parma.
… ah quanto si sarebbero divertiti insieme oggi …
Terricola magari è un po’ gelosa ma non lo da a vedere.
L’acqua continua a venire giù a secchiate, ma il nostro ottimismo non molla, siamo in ballo e balliamo.
Balliamo nel vero senzo della parola vista la strada e le sue buche, alla fine però arriviamo nei pressi di Los Olivos e non piove più!
Quando iniziamo ad incontrare le prime case fuori dall’aldea qualche bimbo e un paio di adulti salgono sul pick-up … e arrivato il circo … e loro lo stavano aspettando …
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A Los Olivos quasi nessuno parla spagnolo, in questo piccolo e sperduto altipiano a circa 1000 mt s.l.m. Si è trasferità in blocco una comunità appartenete ad una delle diverse etnie indios, sono i
Q’Eqchì.
Non si scorgono meticci, il colore della pelle, il taglio degli occhi, la lingua, tutto è rimasto abbastanza lontano da influenze esterne.
Ci sembra quasi di essere di un altro pianeta, diversi, molto diversi.
Appena arriviamo decine e decine di bambini vengono a studiarci da vicino.
Fermiamo i mezzi nei pressi della “cancha”, ossia una gettata di cemento con due porte da calcio e tre grandi scaloni come tribune.
Man mano che scarichiamo e montiamo la curiosità intorno a noi cresce: le tribune si riempiono, i bambini ci sono addosso nelle operazioni di montaggio, allontanarli sembra impossibile, mantenere le basilari regole di sicurezza diventa un impresa.
I più piccoli ti dicono cose incomprensibili e sorridono, i grandi fanno cenni di saluto e sorridono, qualche adolescente è già in atteggiamento di sfida.
Incredibilmente spunta il sole ad illuminare la bellezza di quel posto, i colori rivivono e ti accorgi di quanto possa essere accecante il verde dei prati e della foresta.
Sono illuminati i visi dolci e forti delle donne, illuminati gli occhietti curiosi dei bambini e dei loro padri, mancherebbe più di un’ora ma effettivamente lo spettacolo, per noi e per loro, è già iniziato.
Ad un certo punto lo spettacolo, quello fatto di clave, equilibri, palline, tessuti, balli e bastoni infuocati inizia davvero.
Nonostante un Padre Ottavio lanciatissimo nel ruolo di capo-clac (chi fa partire l’applauso tra il pubblico) ci accorgiamo presto che gli abitanti di Los Olivos sono veramente restii a battere le mani.
Sono lì, con gli occhi inchiodati su di noi, ma in silenzio.
Un silenzio interrotto di tanto in tanto da grasse risate: ridono di gusto quando non vedo un pozzanghera e quasi mi scapicollo durante il numero di pentole, ridono quando Sara cerca di prendere un volontario, quando mi ritrovo a ballare come un idiota da solo in scena, quando nel passing di clave mettiamo 5 persone del pubblico in mezzo.
Il resto credo gli sia piaciuto ma, oltre gli sguardi attenti, non si sono avute quasi altre dimostrazioni di gradimento.
Quando iniziamo a smontare è l’imbrunire, quando finiamo è già notte.
Terricola, abbandonata per ore si è infine ingelosita e ha deciso di lesciarsi sprofondare nel fango.
Ci sono voluti un’oretta, il cavo d’acciaio di Gera e il pick-up per tirarla fuori.
C’è voluta anche tutta la pazienza di Tati, assalita da adolescenti emozionati che le dichiaravano tutto il loro amore.
Nel frattempo per Mattia iniziavano turbamenti intestinali e per me traumatici deliri ai lombari.
Dopo un viaggio di ritorno segnato da dolori vari e stanchezza arriviamo finalmente al collegio.
Il bilancio a tarda notte è questo: Sandro e Mattia in preda a febbre alta e dissenteria, io completamente bloccato con la schiena.
Arriviamo così a lunedì, giorno in cui devono iniziare i laboratori al collegio … ahimè … Circo InZir è un lazzaretto, Sandro ha delirato tutta la notte, mattia ha creato un solco tra la camera e il bagno, io a malapena riesco a girarmi nel letto.
Per fortuna ci sono le donne a portare avanti la baracca.
Per 2 giorni Sara e Tati gestiscono tutti i laboratori e si dividono tra cucina e quella che ormai è diventata un’infermeria.
Gabo sositene psicologicamente il tutto e fornisce soluzioni logistiche ai vari corsi di circo.
Martedì nostro malgrado siamo costretti ad annullare lo spettacolo nell’aldea di S. Marco.
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mercoledì 12 febbraio 2014

CIRCO INZIR nelle aldee!!!!

al lato trovate il link per visualizzare il diario del Circo Inzir in Guatemala ... ma il racconto di oggi è così bello e vero che non ce l'ho fatta a non segnalarlo...
Giulio e Sandro hanno colto subito il vero Guatemala testimoni e osservatori attenti quali sono ...
GRAZIE!!!
Gianna
se volete più informazioni sul di loro cliccate qua CIRCO INZIR
mentre per capire meglio il progetto Gatemala cliccate qua Info progetto Circo Inzir nel Péten


11 – 02 – 2014
Dolores – Guatemala
adesso basta …
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Adsso basta con tutte le congetture, con tutte le supposizioni, basta con le proprie idee su religione, sviluppo, filosofia, libertà.
Applichiamo ciò che certa filosofia ha brillantemente definito “sospesione del gidizio”.
I dubbi rimangono eccome ma siamo tutti felicemente convinti di passarci sopra per qust’attimo che durerà ancora 2 settimane.
E’ bastato fare un giro là fuori …
I primi cui è toccato in sorte un giro intergalattico tra l’umanità della selva disboscata e le colline del mais siamo stati io (giulio) e Sandro.
Una mattina, mentre Sara, Mattia, Gabo e Tati si recavano al mercato di Poptun per cercare gli ultimi e fondamentali materiali per i laboratori, io e Sandro siamo partiti sul pianale del pik-up di Padre Ottavio verso le montagne, verso quei piccoli e sperduti villaggi di contadini che qui chiamano Aldeas (Aldee italianizzando).
L’asfalto finisce esattamente 3 metri dopo il collegio, da lì in poi è sterrato; la corrente eletrica finisce esattamente 3 aldee più in là, dopo è solo luce di candele e qualche raro generatore a benzina.
Curiosi come 2 girini nello stagno, col vento in faccia, corriamo su quelle strade innondate di fango e buche (qui non vuole proprio smettere di piovere).
2 ore per arrivare nell’aldea di S. Marco.
2ore di colline ricoperte per lo più da mais e laddove la selva è intatta lascia fuoriuscire tutta la sua potenza di vita; dolci rilievi non troppo alti, qua e là nebbia sprigionata dagli alberi, mucche e cavalli.
Per strada raccogliamo e poi lasciamo persone che vanno e vengono dai campi e che, all’occasione, non disdegnano un passaggio fortuito.
Padre Ottavio deve fare delle visite e ci aveva avvisati che se fossimo andati con lui saremmo tornati di notte.
L’aldea di S. Marco è un luogo sprofondato nel verde, circondato da alte colline, qualche campo di mais e poi è solo selva.
In quello che si potrebbe definire il centro del paese c’è un campo da calcio e la chiesa.
Tutte le case che abbiamo visitato sono fatte di legno, i tetti sono di lamiera o, nella maggioranza dei casi, di foglie secche di palma.
Il pavimento è la terra, solo in pochi hanno fatto una leggera gettata di cemento.
Le tavole che costituiscono le pareti sono così irregolari che nelle fessure che si vengono a creare capita di poterci infilare una mano.
All’interno trovano posto qualche amaca e qualche letto, a seconda della grandezza della famiglia.
La cucina in genere è una costruzione a parte: una struttura in legno che tiene su il tetto, un pianale dove tagluzzare verdure e carne e un braciere.
Le pareti in questo caso se ci sono non arrivano mai fino al tetto, per agevolare la fuoriuscita dei fumi.
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La prima visita che facciamo è nella casa di don Esminio (nome di fantasia).
Non appena entriamo nel campo visivo della casa vengono ad accoglierci festanti e curiosi 5 o 6 bambini scalzi, sorridenti e col fango ovunque.
L’atmosfera sembra allegra, ci sono anche 3 o 4 adolescenti, 2 dei quali stanno giocando su un’amaca che da lì a un attimo si romperà generando ilarità.
Io e Sandro stiamo per tirare fuori le clave per divertire i bambini ma ci accorgiamo appena in tempo che non è il caso.
don Esminio, il capo famiglia, è su una sedia a rotelle, intorno a lui sono assiepate le varie generazioni femminili della casa.
Il don è un uomo di 62 anni, magro con pochi denti gialli in bocca e tutti i capelli neri in testa, 2 occhi nocciola che guardano quasi sempre davanti a lui, che guardano oltre, due occhi incastrati in mille rughe ancora non troppo profonde.
Sono occhi che durante i suoi racconti vedono immagini di un mondo lontano che noi possiamo a malapena figurarci.
Don Esminio ha le gambe gonfie, non riesce più a muoverle, a malapena riesce a muovere un solo braccio, la sua voce è un filo che sembra doversi spezzare da un momento all’altro.
Eppure con quel filo di energia riesce a preoccuparsi per noi, ci chiede se siamo seduti comodi e se il sole ci molesta.
Tutto è successo in 2 settimane: prima un piede, poi una gamba, poi l’altra, infine le braccia.
Con gran difficoltà riescono a portarlo all’ospedale di Dolores, da lì lo trasferiscono a Poptun, poi a S. Benito, da lì volevano mandarlo nella capitale, ma lui rifiuta e torna a casa.
La struttura sanitaria del Guatemala è semplice, ad esempio : ti rompi un braccio, vai all’ospedale, se hai i soldi per il gesso bene, altrimenti torni a casa così come sei venuto.
Questi contadini sono ricchi di spirito e di energia, ricchi di amore, di mais e di fagioli, ma in quanto a denaro proprio no.
Anche solo il viaggio dall’aldea a S. Benito può essere un problema.
Padre Ottavio ci spiega che spesso la gente preferisce morire in casa senza tentare di curarsi in un ospedale lontano, questo per paura che la famiglia debba indebitarsi a vita per eventualmente far riportare la salma a casa.
Ci ha raccontato la storia tristissima di una ragazza, poco più che bambina, ma da queste parti già donna: aveva complicanze durante la gravidanza, probabilmente nulla irrimediabile, ma lei senitva di essere grave, così, per non pesare sulla famigla ha deciso di rischiare … è morta, e con lei anche il bimbo …
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Don Esimio è commuovente quando racconta, con quel suo filo di voce, con quelle pause obbligate dalla fatica e con quella cantilena tipica da queste parti. Ti lascia entrare nel suo cuore, passando da quegli occhi nocciola :” Io ero un bimbo … mio padre doveva spostare quell’albero dalla strada … erano in pochi a poterlo aiutare … io pensai che il mio vecchietto si sarebbe fatto male per la fatica … così aiutai anche io … e ci misi più forza che potevo …. ma ero un bimbo … e il troppo sforzo fece esplodere una vena nel polmone … fui ricoverato 20 giorni in ospedale … quando uscii mi dissero che stavo bene ma che non avrei dovuto far sforzi … ma come può un contadino non fare sforzi …”
Siamo emozionati, tutti, e lui continua, ha voglia di raccontare e dopo poco arriva al presente con una consapevolezza che mi sorprende (ma che ci sarà poi di così sorprendente? Come se noi del “primo mondo” istruito e industrializzato fossimo depositari di chissà quali verità!).
La consapevolezza di un uomo che non ha sogni di gloria o di ricchezza, un uomo carico di dignità che chiede in fondo solo un po’ di rispetto.
… io lo so che noi contadini distruggiamo la natura, ma lo facciamo per sopravvivere, noi siamo figli del Guatemala, abbiamo il diritto di poter sopravvivere, è una vita che lottiamo, continueremo a lottare, dobbiamo continuare a lottare…”
Lottare …
Già, qua la lotta è dura e impari, giocata sulla pelle di povera gente.
Cosa sta succedendo?
Alla fine della guerra civile una gran quantità di villaggi Indios erano somparsi, generali spetati, al servizio di governanti criminali avevano fatto piazza pulita, uccidendo uomini, donne e bambini.
Ci fu un esodo di migliaia di profughi verso il Messico e il Belize
Alla fine della guerra vi fu il rientro di parte di questi profughi, tanti restarono all’estero.
Il Peten (regione in cui ci troviamo, circa un terzo del guatemala) era interamente coperto da foreste, dopo l’amazzonia una delle foreste più grandi al mondo.
Tornando in Guatemala i fuoriusciti ripartirono proprio da qui, un po’ alla volta, riunendosi in piccole comunità, disboscando a mano e coltivando.
I contadini ora fanno anche 2 ore di cammino per arrivare al campo, i più fortunati hanno il cavallo, la loro vita è dura ma, a loro modo, si sentono ricchi, come mi spiegava Mingo.
Tutto questo però è minacciato, ed è per questo che stanno lottando.
Già intere aldee sono scomparse, arrivano dalla capitale, ma non solo, i capitalisti … e comprano …
A volte si presentano con finti documenti di proprietà, ma se non hai un avvocato è impossibile stabilire cosè falso e cos’è vero.
A volte comprano tutta la terra che hai intorno al tuo campo e non ti lasciano il diritto di passaggio.
A prevalere è la legge del più forte.
A volte arrivano e ti dicono che se non vendi tu oggi venderà la tua vedova domani, qui a volte l vita vale meno di una vacca.
Esminio diceva che i contadini distruggono la natura per sopravvivere, questa marmaglia distrugge la natura, passa come un buldoozer sopra la vita di povera gente solo per arricchirsi sempre di più, piantando coltivazioni intensive di palma africana per il bio combustibile o per l’olio (che fa male! Ed è presente in tantissimi prodotti che consumiamo noi), o per lasciare le vacche al pascolo, con allevamenti di proporzioni sconfinate.
La visita è terminata, Padre Ottavio e Suor Isolde sono riuciti a convincere don Esminio ad andare all’ospedle di Città del Guatemala. I 2 religiosi si sono offerti di aiutare per il viaggio e l’alloggio di un familiare nella capitale durante la degenza.
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Ci sono state altre visite che meriterebbero di essere raccontate ma non voglio approfittare dell’attenzione del lettore.
Io e Sandro abbiamo animato con la giocoleria quasi tutte le visite.
Abbiamo pranzato con una famiglia che per l’occasione ha ammazzato una gallina.
Nel tardo pomeriggio c’è stato un piccolo spettacolo di una ventna di minuti per tutti.
Mentre Padre Ottavio era in riunione con i ragazzi dell’aldea siamo adati con Isaia a fare un giro nei dintorni.
Isaia, un uomo robusto, contadino con stivali da cow-boy e cuore da bambino, ha visto lo spettacolo e ci ha preso in simpatia, così ci ha fatto da guida.
Attraversando cmpi di mais abbiamo avuto modo di vedere: un tucano che volava libero, un boa di un metro e mezzo appena ucciso, mangiato e scuoiato, ragni enormi e uno scorpione dal veleno potente.
Siamo arrivati appena dentro la selva, con Isaia che raccontava di puma e giaguari.
Ci ha fatto magiare il gambo di una pianta di cui non ricordo il nome ma che in bocca sprigionava un sapre potentissimo che vagamente ricordava l’anice.
Verso le 9 siamo ripartiti sfiniti ma contenti.
Le cose successe sono ancora tante ma ve le racconterò dopodomani, vi racconterò dell’ide di libertà di mingo, dei laboratori appena iniziati qui al collegio, del primo spettacolo di Circo Inzir a Los Olivos, comunità sperduta di indios in cui nessuno o quasi parla spagnolo (castigliano per essere più corretti) ….
…. a presto …

martedì 11 febbraio 2014

Move Forward Haiti

Le figlie di Marina, con colleghi olandesi e haitiani , hanno organizzato e gestito un campo per ragazzi nell'isola di Haiti.
Invio il loro report finale dal quale si estrapola che ragazzi poverissimi hanno avuto la possibilità di giocare e danzare e divertirsi.
E' stata un'iniziativa, a parer mio, molto interessante che ha molto della filosofia del circo Inzir in Guatemala.
Ho chiesto a Gianna di pubblicarlo  sul sito,  da un lato per valutare il progetto in sè, dall'altro perchè chi di voi ha conosciuto padre Andrea, si rallegri nel sapere che la  " sua " squadra di basket è arrivata in finale.
Un pò di allegria è una grande medicina per tutti.
Neri

per vedere il progetto clicca qui