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lunedì 5 maggio 2014

GUATEMALA: ritorno della violenza sistematica contro i leader indigeni, sociali e contro quella parte di Magistratura che vuole condannare i genocidi



Queste brevi appunti per portare a Vostra conoscenza la difficile situazione riguardante il rispetto dei Diritti umani in Guatemala.
Come ben saprete il paese ha attraversato un periodo di lunga guerra civile interna terminata con gli Accordi di pace del 1996. Il conflitto ha prodotto oltre 200 mila morti tra la popolazione civile in gran parte indigena. Tutti ricorderete che nel 1992 il Premio Nobel Per la Pace  venne consegnato nelle mani di una minuta indigena, Rigoberta Menchú Tum, "in riconoscimento dei suoi sforzi per la giustizia sociale e la riconciliazione etno-culturale basata sul rispetto per i diritti delle popolazioni indigene guatemalteche".
Attualmente, mentre a livello governativo si cerca di negare il genocidio delle popolazioni Maya, la situazione è progressivamente peggiorata. L’innalzamento di una violenza diffusa, specialmente nelle aree urbane, legata alla penetrazione dei cartelli del narcotraffico ed alle organizzazioni criminali che gestiscono la tratta degli esseri umani verso il Nordamerica, si lega con la recrudescenza della violenza politica verso i difensori dei Diritti umani.
Da molti mesi circolano – sulla la pagina web della Fundación contra el terrorismo ad esempio- vere e proprie liste di “indesiderati”; vescovi, sacerdoti, sindacalisti, maestri, difensori dei Diritti  umani e autorità indigene. L’esperienza ci insegna che i metodi brutali di repressione usati nel periodo della guerra interna e riproposti in questi ultimi  anni sono l’allarme di un’insidiosa generalizzazione della violenza,  che attraverso le pratiche di sequestro e sparizione  di uomini e donne disegnano la figura del “nemico interno”.
Prima si individuano gli obiettivi umani , si costruisce una campagna denigratoria contro di loro isolandoli dal resto della comunità fino ad eliminarli con stratagemmi  che tendono a screditare le loro valenze sociali.     
Se vogliamo ricostruire brevemente quanto è successo in questi due ultimi anni non possiamo non ricordare il primo massacro compiuto nel periodo posteriore agli accordi di pace e la decisione di giudicare in un Tribunale della nazione l’ex dittatore, il generale Efraín Ríos Montt.
Il 4 ottobre 2012, al chilometro 170 della strada Interamericana per Totonicapan, reparti dell’Esercito sparano su una manifestazione pacifica che reclama la propria contrarietà alle riforme costituzionali, alle modifiche del piano di studi delle magistrali e all’alto costo dell’energia elettrica. Sul terreno rimangono otto morti e 34 feriti. In tutto il paese decine di manifestazioni vengono represse con inaudita violenza.
Il 19 marzo dell’anno successivo inizia il procedimento contro Montt, accusato di essere il mandante di numerosi massacri avvenuti nell’area conosciuta come il Triángulo Ixil, nel nordest del paese, dove furono uccisi 1.771 indigeni. Secondo i dati raccolti grazie alle esumazioni, quasi la metà dei morti era rappresentata da bambini tra zero e dodici anni.
Il 10 maggio 2013, il Tribunale Primero A de Mayor Riesgo emette la sentenza contro il generale Ríos Montt per genocidio e crimini contro l'umanità, dopo aver ascoltato le dichiarazioni di 98 testimoni, tra cui oltre 50 esperti militari, dopo aver esaminato 606 certificati di morte delle vittime di 17 massacri, degli studi sui resti di 420 corpi dopo aver analizzato i piani  militari Victoria 82, Fermezza83 e Sofia. L’ottantaseienne genocida viene condannato a 80 anni di reclusione. 
Il mondo si ricorda del Guatemala, la sentenza viene salutata nel paese centroamericano, e non solo, come una svolta storica, come se per la prima volta si fosse vinta l’impunità dei vertici militari e di Governo cancellando il brutto presagio, indotto da un’altra Corte, che solo un mese addietro aveva sospeso il giudizio con la volontà di non processare il militare.
La presidentessa della Corte Yassmin Barrios e il Procuratore generale Claudia Paz y Paz, che con il suo team di magistrati aveva condotto l’istruttoria, riconsegnano al paese un poco di dignità ed aprono una pagina nuova per la prima volta dopo gli accordi di pace del  96.
Tuttavia, dieci giorni dopo, il 20 Maggio 2013, la Corte Costituzionale del Guatemala ha annullato la sentenza contro il genocidio. Due dei cinque giudici della Corte, Mauro Roderico Chacón Corado e Gloria Patricia Porras Escobar hanno voluto argomentare il loro "dissenso", sostenendo che è stato trovato un artificio volto ad ostacolare il normale processo di processo e evitare il giudizio.               Gli altri tre giudici hanno votato a favore della sospensione del processo.
Secondo la corte costituzionale sono state violate le procedure del giusto processo e quindi si tornerà in aula. Bisogna risentire tutti i testimoni, senza considerare che per molti di loro non sarà possibile ritornare più volte fino alla capitale sede della Corte e soprattutto non sarà facile ricordare ancora  una volta lo sterminio della propria famiglia.
Nelle settimane successive reparti dell’Esercito e delle squadre anti sommossa occupano diverse regioni  del paese decretando lo Stato d’assedio, limitando le libertà personali fino a minacciare i testimoni viventi dei terribili massacri della guerra interna. Vengono addirittura minacciati alcuni dei testimoni al processo ai quali si chiede di rinnegare tutto in cambio di tranquillità.
La decisione della Corte Costituzionale, purtroppo è stata utilizzata dagli ex militari, ex soldati e gruppi di provocatori - crescono a dismisura le polizie private -, con un chiaro scopo di vendetta, per aumentare le minacce contro i testimoni, vittime e sopravvissuti; per accrescere la guerra psicologica e la criminalizzazione dei movimenti sociali, dei loro leader e innalzare il livello di scontro in diverse regioni del paese volto a distruggere il clima pacifico che le Comunità e le autorità indigene insieme a numerose organizzazioni sociali hanno costruito negli ultimi anni.           
Il 7 settembre del 2013, una altro massacro, a San José Nacahuil, Municipio de San Pedro Ayampuc. Dieci persone uccise e 17 ferite. Tra i corpi rimasti a terra quelli di due bambine di 11 anni. La comunità indigena di etnia Kaqchikel è impegnata pacificamente da anni nella difesa del territorio contro gli speculatori delle aziende idroelettriche e minerarie.
E poi ancora il  13 di gennaio nella zona del Triangolo Ixil vengono violentemente aggrediti il sindaco indigeno di Antiguo Xoncá insieme ad altre autorità ancestrali che si battono contro un’idroelettrica.
E arriviamo al gennaio scorso quando nella giornata del 12 la giudice Carol Patricia Flores ha sospeso definitivamente il processo contro Ríos Montt. Questo significa per molti giuristi l’archiviazione del caso o nella migliore delle ipotesi ricominciare tutto dalla situazione del novembre del 2011 quando il dittatore venne accusato per la prima volta.
Quattro giorni dopo Juan Tuyuc, il Comandante Leo come era chiamato negli anni del conflitto interno, leader indigeno e popolare viene assassinato nei pressi di Sololà. Juan e il fratello della più conosciuta Rosalina Tuyuc, premio Nikkyo Niwano per la Pace nel 2012, deputata e storica fondatrice del Coordinamento Nazionale delle vedove del Guatemala (Conavigua). Viene ucciso con modalità atroci che ricordano l’assassinio di altri membri della sua famiglia. Perché sia chiaro che si muoveva troppo tra le comunità - per costruire una rete in difesa delle terre - gli vengono tagliate le dita dei piedi.
Il 10 febbraio scorso un’ incomprensibile sentenza della Corte Costituzionale, già fortemente criticata da giuristi interni e di diversi paesi, ha annullato l’incarico di Procuratore Generale, in scadenza a dicembre 2014, a Claudia Paz y Paz. Al suo posto si vuol nominare un magistrato fedele a quella linea che impone il silenzio o peggio ancora la negazione del genocidio.
La triste realtà è rappresentata dal fatto che per i prossimi mesi, la giudice che aveva raccolto le accuse contro il dittatore non potrà esercitare il suo magistero e con buona probabilità dovrà rinunciare alla sicurezza di una scorta.
Come se non bastasse lo scorso  3 marzo le cronache guatemalteche sono piene dello strano “suicidio” di Cesar Barrientos Pellecer, magistrato impegnato nell’istruttoria contro Ríos Montt e considerato dai gruppi dell’ultra destra come il “mandante dei giudici sicari”.               
Molti sono i gruppi italiani che a cominciare dagli anni 80 hanno lavorato al fianco delle popolazioni guatemalteche. Questi gruppi, sono organizzati in un Coordinamento nazionale Italia-Guatemala, Caminando juntos. Il Coordinamento è formato da decine di Associazioni, Onlus e ONG che lavorano in tutte le regioni guatemalteche, nel campo dell’istruzione, del commercio equo e solidale, della tutela dei minori e della formazione professionale, con istituzioni laiche e cattoliche, con comunità rurali e indigene, con parrocchie e istituzioni universitarie. Nella campagna diffamatoria che i potenti gruppi paramilitari e dell’esercito stanno portando avanti molte di queste realtà sono considerate come sgradite; soprattutto in questo momento storico, segnato da una violenza diffusa, la confusione sui mandanti può essere un ottimo schermo per la crescita dei crimini a sfondo sociale e politico .