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mercoledì 21 settembre 2016

Antonio Melis ricordato da Aldo Zanchetta

da Mininotiziario America Latina n.8 del 2016
a cura di ALDO ZANCHETTA



... la morte improvvisa, mentre si trovava a La Paz in Bolivia, di Antonio Melis, buon amico e professore ordinario di Lingue e Letterature Ispanoamericane presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Siena, dove insegnava anche Civiltà Indigene d'America e dirigeva il CISAI (Centro Interdipartimentale di Studi sull'America Indigena).
Lo ricordiamo proponendo la lettura della presentazione da lui scritta dell’edizione italiana del libro degli amici peruviani del PRATEC -edito a ns cura presso l’editore Mutus Liber- il cui titolo italiano è: COSMOVISIONI. OCCIDENTE E MONDO ANDINO e che Melis aveva molto apprezzato, accettando di scriverne appunto la presentazione.

DALLE ANDE, UN’ALTERNATIVA ALLA RAGIONE PRAGMATICA

Antonio Melis

            Negli ultimi decenni si è affermato con forza crescente un campo di studi interdisciplinari che ruota intorno alla categoria di mondo andino. Con questa terminologia si è voluto sottolineare la presenza di alcuni tratti peculiari dell’organizzazione sociale che si è sviluppata nel corso dei millenni in una vasta zona oggi occupata da paesi come il Perù, l’Ecuador, la Bolivia –oltre a porzioni di altri stati sudamericani- a partire dalle soluzioni trovate per rispondere alla sfida di un ambiente particolare, segnato soprattutto dal predominio del fattore altitudine.
            Fra gli organismi culturali che hanno portato avanti la ricerca intorno a questi temi negli ultimi decenni, ha svolto un ruolo particolarmente rilevante il peruviano PRATEC (Progetto Andino di Tecnologia Contadina). Alcuni risultati di questo lavoro rigoroso e appassionato si trovano raccolti in questo volume, che fin dal titolo originario richiama l’attenzione sulla specificità di quel mondo, attraverso il termine “agrocentrico”[1]. Sottolineando questo tratto, si vuole sottolineare l’originalità di un contesto fisico e culturale e del rapporto con esso stabilito dalle popolazioni che si sono succedute su quel territorio, contro ogni pretesa universalistica che voglia ricondurlo a un modello unico di sviluppo.
            Fra i maggiori artefici di queste ricerche, troviamo Eduardo Grillo Fernández, qui presente con tre saggi. Il primo di essi parte da una netta contrapposizione fra le forme della religiosità andina e le concezioni religiose europee. Nel mondo andino domina una concezione del sacro di tipo panteista e immanente. Al suo interno, è fondamentale il principio del dialogo e della reciprocità. Tutte le attività della pastorizia e dell’agricoltura sono caratterizzate dalla ritualità. La chacra, il campo coltivato, non è in contrasto con la natura, ma è modellato su di essa. È un mondo che non esclude i contrasti, ma  che possiede gli strumenti per superarli, attraverso la ritualizzazione dello scontro.
            In un altro saggio dello stesso autore si affronta il problema del linguaggio, registrando ancora una volta la contraddizione fra la cultura andina e quella occidentale moderna. Nel mondo andino domina un atteggiamento di dialogo, che si svolge con la parola, i gesti, i suoni. Siamo in un contesto in cui l’oralità prevale sulla scrittura e il tempo ciclico prevale sul tempo lineare. Secondo l’autore, l’incapacità di cogliere questi tratti specifici è stata la causa del fallimento dei partiti politici che hanno cercato di trapiantare meccanicamente in questa realtà gli schemi europei.
            L’ultimo intervento di Eduardo Grillo Fernández si sofferma soprattutto sugli aspetti politici dell’organizzazione andina. Si tocca qui un punto cruciale, causa ormai secolare di una profonda incomprensione  per chi si accosta a quella realtà a partire da un’ottica tradizionale. L’idea di democrazia maturata nel contesto europeo e nordamericano non coincide con la prassi delle popolazioni americane originarie. Al di là del caso andino, è un problema che è emerso con forza anche in occasione della rivolta zapatista esplosa nel 1994 nel Chiapas messicano. Si è scoperto infatti allora che nelle assemblee indigene non funzionava il criterio maggioritario, ma il perseguimento costante dell’unanimità.
            Sulla concezione diversa del sapere che divide i due mondi confrontati risulta illuminante il saggio di Grimaldo Rengifo Vásquez. L’autore sottolinea che nel mondo andino non esiste nessuna separazione fra la comunità umana e la natura. Di qui deriva un impiego del sapere che non si propone mai di esercitare forzature nei confronti della natura. È un sapere che non è finalizzato all’affermazione dell’uomo sugli altri esseri. In un secondo contributo, lo stesso autore precisa che il modo diverso di rapportarsi all’ambiente si può riassumere nel concetto di prova, cioè in una sperimentazione costante delle coltivazioni, senza mai perdere di vista però il criterio dell’armonia con il contesto naturale. Così, il seme viene trattato proprio come se fosse una persona. Si tiene conto del fatto che non sempre le piante si adattano al terreno scelto dall’uomo e ciò contribuisce a una continua verifica dei risultati. Questa innovazione permanente è necessaria a fare proseguire la vita ed è inutile sottolineare come questa caratterizzazione contrasti con gli stereotipi di un mondo immobilistico. Il saggio si sofferma sulla pratica, accennata anche in altri scritti del volume, che prende il nome di ayni, cioè sull’aiuto reciproco, che si conferma come uno strumento fondamentale di coesione etica della società andina.
            Il modo diverso di leggere il mondo, legato all’organizzazione agraria, è al centro anche dello studio di François Greslou. Si ribadisce la profonda interrelazione fra gli esseri umani, naturali e divini. Se da una parte si sottolinea il carattere agrocentrico, dall’altra si afferma la flessibilità della struttura agricola stessa. Il saggio ritorna anche sull’organizzazione socio-politica di quel mondo, fondata non sull’individuo, ma sui nuclei familiari riuniti in comunità. Di qui la resistenza ostinata contro ogni tentativo di ridurre questa struttura all’interno delle forme europee. A questo proposito, vorrei ricordare che fra le ragioni del fallimento del progetto riformatore portato avanti tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta dal governo militare guidato da Juan Velasco Alvarado c’è stata anche l’assurda iniziativa di sovrapporre all’ayllu, la comunità andina, cooperative di tipo europeo gestite da burocrati estranei a quel contesto. La forza dell’antica organizzazione indigena è testimoniata anche dalla persistenza delle autorità tradizionali, in un rapporto complementare con quelle che rappresentano la società moderna e lo stato
            Sulla necessità di utilizzare una visione “endogena” della cultura andina insiste anche il contributo di Víctor Antonio Rodríguez Suy Suy. Proprio la continuità degli aspetti di fondo della cultura andina attraverso i millenni è una conferma della sua organicità, della sua capacità di rispondere in maniera armonica alle sollecitazioni dell’ambiente.
            La diversità andina si riscontra anche nella concezione dell’attività artistica, come ci ricorda Enrique Moya Bendezú. Non esiste in quel mondo nessuna idea dell’arte per l’arte e le potenzialità artistiche si considerano come presenti in tutti gli uomini. Questo aspetto è particolarmente rilevante, perché può essere esteso a tutte le espressioni artistiche americane originarie. Molti dei fraintendimenti nella loro valutazione da parte della cultura egemonica sono legate al misconoscimento della loro specificità, legato soprattutto alla dimensione comunitaria. D’altra parte, non è male ricordare che quando ci riferiamo alla concezione europea dell’arte ci stiamo in realtà riferendo a un’idea che si è affermata a partire dal romanticismo, ma che è a sua volta lontana da quelle che avevano caratterizzato i secoli precedenti.
            Nel sistema compatto del mondo andino giocano un ruolo importante anche gli astri. Lo illustra nel suo intervento Julio Valladolid Rivera, sottolineando la sostanziale continuità del sapere astronomico andino attraverso i millenni. Una volta ancora  emerge il fondamento animistico di quelle concezioni.
            In questa breve presentazione sono stati sottolineati alcuni punti particolarmente suggestivi di queste linee di ricerca. La lettura di questi saggi contribuirà certamente a incrinare le certezze eurocentriche e il pensiero unico che si cerca di imporre attraverso i processi di globalizzazione. Alla luce di questi esempi, non si tratta solo di affermare che un altro mondo è possibile, ma di constatare che già esiste e può rappresentare un punto di riferimento da considerare  nella ricerca di uno sviluppo alternativo, rispetto a quello che sta dimostrando ogni giorno di più il suo fallimento.    


[1] Il titolo originario è infatti “Cultura Andina Agrocentrica”.