a cura di ALDO ZANCHETTA
... la morte
improvvisa, mentre si trovava a La Paz in Bolivia, di Antonio Melis, buon amico
e professore ordinario di Lingue e Letterature Ispanoamericane presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia di Siena, dove insegnava anche Civiltà Indigene
d'America e dirigeva il CISAI (Centro Interdipartimentale di Studi sull'America
Indigena).
Lo ricordiamo proponendo la lettura della presentazione da lui scritta
dell’edizione italiana del libro degli amici peruviani del PRATEC -edito a ns
cura presso l’editore Mutus Liber- il cui titolo italiano è: COSMOVISIONI.
OCCIDENTE E MONDO ANDINO e che Melis aveva molto apprezzato, accettando di
scriverne appunto la presentazione.
DALLE ANDE,
UN’ALTERNATIVA ALLA RAGIONE PRAGMATICA
Antonio Melis
Negli ultimi decenni si è affermato
con forza crescente un campo di studi interdisciplinari che ruota intorno alla
categoria di mondo andino. Con questa terminologia si è voluto sottolineare la
presenza di alcuni tratti peculiari dell’organizzazione sociale che si è sviluppata
nel corso dei millenni in una vasta zona oggi occupata da paesi come il Perù,
l’Ecuador, la Bolivia
–oltre a porzioni di altri stati sudamericani- a partire dalle soluzioni
trovate per rispondere alla sfida di un ambiente particolare, segnato
soprattutto dal predominio del fattore altitudine.
Fra gli organismi culturali che
hanno portato avanti la ricerca intorno a questi temi negli ultimi decenni, ha
svolto un ruolo particolarmente rilevante il peruviano PRATEC (Progetto Andino
di Tecnologia Contadina). Alcuni risultati di questo lavoro rigoroso e
appassionato si trovano raccolti in questo volume, che fin dal titolo
originario richiama l’attenzione sulla specificità di quel mondo, attraverso il
termine “agrocentrico”[1].
Sottolineando questo tratto, si vuole sottolineare l’originalità di un contesto
fisico e culturale e del rapporto con esso stabilito dalle popolazioni che si
sono succedute su quel territorio, contro ogni pretesa universalistica che
voglia ricondurlo a un modello unico di sviluppo.
Fra i maggiori artefici di queste
ricerche, troviamo Eduardo Grillo Fernández, qui presente con tre saggi. Il
primo di essi parte da una netta contrapposizione fra le forme della
religiosità andina e le concezioni religiose europee. Nel mondo andino domina
una concezione del sacro di tipo panteista e immanente. Al suo interno, è
fondamentale il principio del dialogo e della reciprocità. Tutte le attività
della pastorizia e dell’agricoltura sono caratterizzate dalla ritualità. La chacra, il campo coltivato, non è in
contrasto con la natura, ma è modellato su di essa. È un mondo che non esclude
i contrasti, ma che possiede gli
strumenti per superarli, attraverso la ritualizzazione dello scontro.
In un altro saggio dello stesso
autore si affronta il problema del linguaggio, registrando ancora una volta la
contraddizione fra la cultura andina e quella occidentale moderna. Nel mondo
andino domina un atteggiamento di dialogo, che si svolge con la parola, i
gesti, i suoni. Siamo in un contesto in cui l’oralità prevale sulla scrittura e
il tempo ciclico prevale sul tempo lineare. Secondo l’autore, l’incapacità di
cogliere questi tratti specifici è stata la causa del fallimento dei partiti
politici che hanno cercato di trapiantare meccanicamente in questa realtà gli
schemi europei.
L’ultimo intervento di Eduardo
Grillo Fernández si sofferma soprattutto sugli aspetti politici
dell’organizzazione andina. Si tocca qui un punto cruciale, causa ormai
secolare di una profonda incomprensione per
chi si accosta a quella realtà a partire da un’ottica tradizionale. L’idea di
democrazia maturata nel contesto europeo e nordamericano non coincide con la
prassi delle popolazioni americane originarie. Al di là del caso andino, è un
problema che è emerso con forza anche in occasione della rivolta zapatista
esplosa nel 1994 nel Chiapas messicano. Si è scoperto infatti allora che nelle
assemblee indigene non funzionava il criterio maggioritario, ma il
perseguimento costante dell’unanimità.
Sulla concezione diversa del sapere
che divide i due mondi confrontati risulta illuminante il saggio di Grimaldo
Rengifo Vásquez. L’autore sottolinea che nel mondo andino non esiste nessuna
separazione fra la comunità umana e la natura. Di qui deriva un impiego del
sapere che non si propone mai di esercitare forzature nei confronti della
natura. È un sapere che non è finalizzato all’affermazione dell’uomo sugli
altri esseri. In un secondo contributo, lo stesso autore precisa che il modo
diverso di rapportarsi all’ambiente si può riassumere nel concetto di prova, cioè in una sperimentazione
costante delle coltivazioni, senza mai perdere di vista però il criterio
dell’armonia con il contesto naturale. Così, il seme viene trattato proprio come
se fosse una persona. Si tiene conto del fatto che non sempre le piante si
adattano al terreno scelto dall’uomo e ciò contribuisce a una continua verifica
dei risultati. Questa innovazione permanente è necessaria a fare proseguire la
vita ed è inutile sottolineare come questa caratterizzazione contrasti con gli
stereotipi di un mondo immobilistico. Il saggio si sofferma sulla pratica,
accennata anche in altri scritti del volume, che prende il nome di ayni, cioè sull’aiuto reciproco, che si
conferma come uno strumento fondamentale di coesione etica della società
andina.
Il modo diverso di leggere il mondo,
legato all’organizzazione agraria, è al centro anche dello studio di François
Greslou. Si ribadisce la profonda interrelazione fra gli esseri umani, naturali
e divini. Se da una parte si sottolinea il carattere agrocentrico, dall’altra
si afferma la flessibilità della struttura agricola stessa. Il saggio ritorna
anche sull’organizzazione socio-politica di quel mondo, fondata non
sull’individuo, ma sui nuclei familiari riuniti in comunità. Di qui la
resistenza ostinata contro ogni tentativo di ridurre questa struttura
all’interno delle forme europee. A questo proposito, vorrei ricordare che fra
le ragioni del fallimento del progetto riformatore portato avanti tra la fine
degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta dal governo militare guidato
da Juan Velasco Alvarado c’è stata anche l’assurda iniziativa di sovrapporre
all’ayllu, la comunità andina,
cooperative di tipo europeo gestite da burocrati estranei a quel contesto. La
forza dell’antica organizzazione indigena è testimoniata anche dalla
persistenza delle autorità tradizionali, in un rapporto complementare con
quelle che rappresentano la società moderna e lo stato
Sulla necessità di utilizzare una
visione “endogena” della cultura andina insiste anche il contributo di Víctor
Antonio Rodríguez Suy Suy. Proprio la continuità degli aspetti di fondo della
cultura andina attraverso i millenni è una conferma della sua organicità, della
sua capacità di rispondere in maniera armonica alle sollecitazioni
dell’ambiente.
La diversità andina si riscontra
anche nella concezione dell’attività artistica, come ci ricorda Enrique Moya
Bendezú. Non esiste in quel mondo nessuna idea dell’arte per l’arte e le
potenzialità artistiche si considerano come presenti in tutti gli uomini.
Questo aspetto è particolarmente rilevante, perché può essere esteso a tutte le
espressioni artistiche americane originarie. Molti dei fraintendimenti nella
loro valutazione da parte della cultura egemonica sono legate al
misconoscimento della loro specificità, legato soprattutto alla dimensione
comunitaria. D’altra parte, non è male ricordare che quando ci riferiamo alla
concezione europea dell’arte ci stiamo in realtà riferendo a un’idea che si è
affermata a partire dal romanticismo, ma che è a sua volta lontana da quelle
che avevano caratterizzato i secoli precedenti.
Nel sistema compatto del mondo
andino giocano un ruolo importante anche gli astri. Lo illustra nel suo
intervento Julio Valladolid Rivera, sottolineando la sostanziale continuità del
sapere astronomico andino attraverso i millenni. Una volta ancora emerge il fondamento animistico di quelle
concezioni.
In questa breve presentazione sono
stati sottolineati alcuni punti particolarmente suggestivi di queste linee di
ricerca. La lettura di questi saggi contribuirà certamente a incrinare le
certezze eurocentriche e il pensiero unico che si cerca di imporre attraverso i
processi di globalizzazione. Alla luce di questi esempi, non si tratta solo di
affermare che un altro mondo è possibile, ma di constatare che già esiste e può
rappresentare un punto di riferimento da considerare nella ricerca di uno sviluppo alternativo,
rispetto a quello che sta dimostrando ogni giorno di più il suo fallimento.