Cenni di storia fino al ripristino del governo civile nel 1986
A partire dalla conquista spagnola fino ad oggi la
storia del Guatemala è stata segnata da episodi di feroce sfruttamento e da una
situazione di schiavitù lavorativa che ha portato gli indigeni vicino alla
scomparsa totale.
Nel 1821 il risveglio nazionalista e il
raggiungimento dell'indipendenza dalla Spagna ha portato vantaggi reali
soltanto a piccole oligarchie costituite da grandi proprietari terrieri e
appoggiate da governi autoritari e violenti cui si sono aggiunti, verso la fine
del XIX secolo, gli interessi sempre più preminenti delle grandi multinazionali
statunitensi. Solo il decennio 1944-1954 ha segnato una rottura con la
tradizione di regimi oppressivi; in quegli anni infatti prese avvio, prima con
il governo di Arèvalo e poi con quello di Arbenz, il tentativo di dare al paese
un assetto democratico e di avviare una riforma agraria che avrebbe distribuito
ai contadini 100.000 ettari di terra espropriati alla United Fruit Company. La
reazione fu drastica. Nel 1954 un esercito di mercenari, armato grazie alle
sovvenzioni degli Stati Uniti e comandato dal colonello Castillo Armas, abbattè
il governo legittimo di Arbenz e instaurò una dittatura militare. Da quel momento
in Guatemala si sono avvicendate sanguinose dittature che si sono rese
colpevoli di terribili delitti. Con i governi dei generali Lucas Garcia, Rios
Montt e Meija Victores le azioni di repressione nei confronti della
popolazione, in particolare modo degli indios, sono aumentate in maniera
esponenziale finché nel 1983 le Nazioni Unite si sono decise ad intervenire
riconoscendo alla nazione lo stato di guerra e condannando il governo militare.
La strategia anti-insurrezione dell'esercito
prevedeva la creazione dei Poli di Sviluppo e delle Aldeas Modelo, villaggi in
cui, tramite trasferimenti arbitrari, veniva concentrata una notevole parte
della popolazione contadina perché potesse essere controllata con maggiore
facilità dall'esercito. Un importante ruolo di repressione svolgevano inoltre
le Pattuglie di Autodifesa Civile, gruppi paramilitari con compiti di
controllo, i cui componenti venivano reclutati, spesso in modo forzoso, tra i
contadini.
Le cifre del genocidio sono agghiaccianti. Dalla
fine degli anni sessanta fino ad oggi le stime parlano di: 120.000 persone
assassinate, 40.000 desaparecidos, 100.000 orfani, un milione di profughi
interni (desplazados), 250.000 rifugiati all'estero. Anche la tortura rientrava
nella regola: le vittime erano contadini, sindacalisti, uomini politici,
studenti, giuristi, giornalisti, religiosi e chiunque accennasse ad una
qualsiasi opposizione nei confronti della dittatura.
Nel 1984 il governo militare, sottoposto a forti
pressioni da parte delle organizzazioni internazionali e schiacciato da una
gravissima crisi economica, decise di riaprire le porte ai civili. Dopo aver
indetto le elezioni per la creazione di una Assemblea Costituente preparò una
Costituzione già stilata in ogni sua parte da esperti di propria fiducia e la
consegnò ai rappresentanti del nuovo organismo affinché la approvassero. Per
una maggiore tutela fece inoltre redigere un decreto di amnistia che assicurava
l'impunità assoluta a tutti i militari e paramilitari che si fossero resi
colpevoli di reati contro i diritti umani.
La presidenza di Vinicio Cerezo
Nel
gennaio 1986 dopo le elezioni a cui partecipò solo il 30% degli aventi diritto
di voto si insediò in Guatemala la presidenza civile dell'avvocato
democristiano Vinicio Cerezo. Le grandi promesse del suo programma elettorale
destarono qualche speranza fra la popolazione e soprattutto fruttarono al suo
governo cospicui aiuti economici e politici da parte dei paesi occidentali.
Purtroppo a distanza di cinque anni dall'inizio della sua presidenza il bilancio
risultò assolutamente negativo. I maggiori problemi del paese rimasero quasi
completamente irrisolti, quando non addirittura aggravati. Le ripetute e
costosissime campagne dell'esercito contro la guerriglia continuarono con
sistematiche e generalizzate violazioni dei diritti umani a carico delle
popolazioni contadine sfociate talvolta in vere e proprie stragi. Persino la
repressione, condotta in modo selettivo dai rifioriti squadroni della morte e
da gruppi di militari e poliziotti, non subì rallentamenti. Il mandato di
Cerezo si concluse, oltre che nella generale delusione da parte della
popolazione, in una situazione di corruzione diffusa a tutti i livelli e nel
conseguente crollo della democrazia cristiana, il partito da cui il governo era
sostenuto.
La presidenza di Serrano Elìas
Le
elezioni presidenziali del 6 gennaio 1991 hanno videro la vittoria di Jorge
Serrano Elìas, un outsider sostenuto da ambienti militari e imprenditoriali. La
stanchezza e la delusione popolare si sono riflesse sulla partecipazione al
voto che risultò ulteriormente diminuita, tanto che il presidente venne eletto
con un numero di voti pari al 20% degli elettori. Serrano Elìas, membro di una
setta cristiana fondamentalista, appena insediato promise promesso il pieno
rispetto dei diritti umani e la punizione dei colpevoli. Sul piano economico
impose una politica neo-liberista di tipo reaganiano che ha dato buoni
risultati per il risanamento dei conti dello stato, ma ha condannato la
stragrande maggioranza della popolazione all'indigenza più nera. A conti fatti
si può affermare che durante la sua presidenza la questione dei diritti umani,
problema chiave del paese, non ha subito alcun miglioramento rispetto agli anni
precedenti ed anzi per certi versi si è aggravata, soprattutto se si considera
la situazione di assoluta impunità di cui hanno continuato a godere sia gli
autori materiali che i mandanti delle passate azioni repressive.
Il
3/2/1993 in occasione della 49^ sessione della Commissione per i diritti umani
dell'ONU, l'osservatore inviato dalle Nazioni Unite, il tedesco Christian
Tomuschat, ha presentato un rapporto in cui affermava che in Guatemala,
specialmente nelle aree rurali, le violazioni dei diritti umani ad opera di
componenti dell'esercito, della polizia e delle pattuglie civili erano
all'ordine del giorno. Nella stessa sessione ha mostrato il risultato del
proprio lavoro anche Bacra Waly Ndiaye, relatore speciale dell'ONU per le
esecuzioni extragiudiziali sommarie e arbitrarie, il quale ha indicato il
Guatemala come uno dei casi più gravi al mondo. Ha dichiarato che nel
territorio guatemalteco continuavano a verificarsi atti di violenza
generalizzata da parte di membri delle forze armate e delle forze di sicurezza
a carico di sindacalisti, membri dei gruppi di opposizione, attivisti
umanitari, contadini, studenti, professionisti e bambini di strada, il tutto in
un clima di assoluta impunità. Nonostante ciò la Commissione dei diritti umani
dell'ONU, pur giudicando severamente e con preoccupazione tale situazione, nella
risoluzione del 10 marzo 1993, ha deciso di non inserire il Guatemala nel punto
12 del programma, punto in cui vengono collocati i paesi in cui si verificano
gravi violazioni dei diritti umani e implicante la nomina di un relatore
speciale dell'ONU.
A
tale proposito l'ufficio dei diritti umani dell'arcivescovado del Guatemala ha
dichiarato che molti paesi dell'America latina non hanno accettato di passare
ad una condanna più radicale per paura che l'accusa di violazione dei diritti
umani gli si rivoltasse contro. In seguito però, grazie alla pressione
congiunta della pubblica opinione internazionale degli organismi di tutela dei
diritti umani e di molti paesi occidentali che hanno minacciato di tagliare gli
aiuti economici, il governo e l'esercito guatemaltechi sono stati costretti ad
aprire un processo di pace. Questo processo, avviato nel marzo 1990, è
proseguito attraversando fasi alterne nonostante l'opposizione dell'esercito a
cessare le repressioni generalizzate, smantellare gli apparati clandestini armati,
arrivare alla punizione dei colpevoli ed accettare il controllo e la
supervisione delle Nazioni Unite. Nel frattempo la popolazione guatemalteca ha
portato avanti una lotta sempre più ferma volta a combattere l'impunità delle
forze repressive e a favorire condizioni di vita più umane. In prima fila per
promuovere il processo irreversibile di maturazione politica e sociale si è
posta la componente indigena della popolazione ed in special modo le donne.
Portavoce e simbolo delle popolazioni indigene e del movimento popolare è
tuttora la dirigente del CUC, l'indigena Rigoberta Menchù, alla quale è stato
attribuito il premio Nobel per la pace nel 1992, anno del 500° anniversario
della scoperta dell'America.
Da Serrano Leon Carpio
Nel
maggio 1993, incalzato dalla protesta popolare, sempre meno credibile a livello
internazionale e ormai sull'orlo dell'incriminazione per corruzione, Serrano
non trovò altra strada che quella dell'auto-golpe, decretando la sospensione
della Costituzione, sciogliendo il Parlamento ed esonerando sia la Corte
Suprema che il Procuratore dei Diritti umani. Le immediate reazioni
internazionali unite alla mobilitazione popolare e soprattutto al mancato
appoggio di una parte consistente dell'esercito, fecero fallire il tentativo.
Il Parlamento escluse Serrano e nominò presidente Ramiro de Leon Carpio, il
Procuratore dei Diritti umani esautorato da Serrano. La soddisfazione e la
speranza della popolazione nel vedere eletto presidente un uomo che si era
distinto nel denunciare le violazioni dei diritti umani, si raffreddò
rapidamente. Riguardo ai problemi di sempre - scioglimento delle Pattuglie di
autodifesa civile, ripresa del dialogo con la guerriglia , epurazione dei
quadri militari resisi responsabili di violazioni dei diritti umani - le
posizioni del nuovo presidente si rivelarono assai differenti rispetto a quelle
che aveva assunto in veste di Procuratore e tali da lasciar intendere quanto
sia difficile in Guatemala raggiungere e mantenere il potere senza contrattarlo
con i militari.
Lungo
il 1994 lo sviluppo della politica economica neo-liberale ed il taglio radicale
di ogni investimento statale in materia di salvaguardia sociale ha
ulteriormente e drammaticamente peggiorato le condizioni di vita della
popolazione. Come ha denunciato all'Assemblea di Ginevra Monica Pinto,
assessore dell'ONU per i diritti umani, in Guatemala è proseguita la
militarizzazione dello Stato e della società: su una popolazione di 10 milioni
di abitanti, ben 630.000 risultavano inquadrati più o meno forzosamente in
formazioni militari o paramilitari. Naturale conseguenza di ciò è stato un
continuo aumento di crimini e violazioni dei diritti umani, nonostante nel
paese sia stata istituita nel frattempo una commissione di controllo delle
Nazioni Unite denominata Minugua. Anche le trattative di pace tra governo e
guerriglia, riprese dopo una lunga pausa grazie alle pressioni internazionali,
non hanno risolto i problemi di fondo del paese.
Le elezioni del 1995
A fine 1995 si svolsero di nuovo le elezioni
politiche. Nel secondo turno elettorale, tenuto il 7 gennaio 1996, venne eletto
presidente del Guatemala il conservatore moderato Alvaro Arzù. Un fatto di
grande rilievo, che non si verificava da 40 anni, è stato la partecipazione
alle elezioni legislative di un fronte democratico di sinistra, radicato nelle
organizzazioni popolari che ha ottenuto, nonostante si fosse formato da appena
due mesi e nonostante l'assoluta mancanza di mezzi, sei seggi degli ottanta che
costituiscono il Parlamento.
Gli accordi di pace
Appena insediato il presidente Arzù, rappresentante
delle classi imprenditoriali più aperte alla modernizzazione e della corrente
moderata delle forze armate, realizzò una vera rivoluzione negli alti gradi
dell'esercito epurando i generali maggiormente compromessi nelle violazioni dei
diritti umani e nella corruzione. Successivamente impresse una decisa
accelerazione alle trattative di pace con la guerriglia, concludendo
rapidamente gli accordi relativi ai punti sostanziali in sospeso da anni e
realizzando quelli relativi al cessate il fuoco ed al reinserimento dei
guerriglieri nella vita civile. La firma definitiva della pace che fu stipulata
il 29 dicembre 1996 nella capitale guatemalteca alla presenza di capi di
governo e di accreditati rappresentanti internazionali, mise fine a 36 anni di
conflitto armato interno. In questa sede i comandanti dell'URGN annunciarono la
costituzione di un partito politico con cui continuare la lotta democratica e
popolare sul terreno civile. I contenuti degli accordi erano tali da permettere
radicali miglioramenti rispetto alle condizioni di grande miseria che
affliggevano la stragrande maggioranza dei Guatemaltechi. Per garantire la loro
applicazione si aprì una stagione di lotta politica e sociale molto importante
per il popolo del Guatemala, lotta sostenuta in buona parte anche dalla
solidarietà internazionale e in particolare da quella italiana.
Gli ultimi avvenimenti
A distanza di tre anni dagli accordi di pace,
nonostante i cospicui aiuti finanziari arrivati dalla comunità internazionale,
le speranze dei Guatemaltechi di migliorare le proprie condizioni di vita sono
andate ancora una volta deluse. Gli unici veri vantaggi portato dalla pace sono
stati la fine della repressione organizzata dallo Stato, anche se persiste, in
scala minore e a livello selettivo quella portata avanti dai gruppi
paramilitari, e la smobilitazione della guerriglia con conseguente ritorno dei
combattenti alla vita civile. Il resto del bilancio risulta negativo perché
poco o nulla è stato fatto per la smilitarizzazione della società, per la
realizzazione di uno stato multietnico, per l'applicazione degli accordi in
campo socio-economico e in particolare nel settore agricolo e per
l'approvazione di una riforma tributaria che gravi maggiormente sui ceti
abbienti e fornisca risorse finanziarie da reinvestire nello sviluppo del
paese. Senza contare che l'adozione selvaggia di politiche economiche
neo-liberali ha contribuito a peggiorare ulteriormente le già misere condizioni
economiche della popolazione.
Nel frattempo l'eccidio che ha colpito il popolo
guatemalteco è stato documentato in modo inoppugnabile da due ampie e
circostanziate inchieste. La prima iniziativa, promossa dall'Arcivescovado del
Guatemala nel quadro del progetto per il recupero della memoria storica (REMHI)
e coordinata dal vescovo ausiliare della capitale Monsigonr Gerardi, si è
conclusa con la presentazione, avvenuta il 24 aprile 1998, del rapporto
"Guatemala, nunca màs" (Guatemala, mai più) in cui sono elencate
migliaia di gravissime violazioni ai diritti umani. Due giorni dopo la
pubblicazione del rapporto il Vescovo Gerardi è stato barbaramente massacrato a
colpi di pietra sulla porta della sua abitazione da sicari rimasti tuttora
impuniti.
La seconda inchiesta è stata condotta dalla
Commissione di chiarimento storico prevista dagli accordi di pace e si è
conclusa il 25 febbraio 1999 con la presentazione del rapporto "Guatemala,
memoria del silenzio". In esso si accerta che in Guatemala, specialmente
negli anni fra il 1981 e il 1983 sotto i generali golpisti Lucas Garcìa e Rìos
Montt, è stato attuato un vero e proprio genocidio da parte dello Stato ai
danni della popolazione civile, in particolar modo di quella indigena.
Nelle elezioni presidenziali e legislative svoltesi
nel 1999 il desiderio di punire il governo di Arzù, l'enorme difficoltà da
parte della massa di popolazione più povera ad esercitare il diritto di voto e
soprattutto la persistente paura generata dai gruppi paramilitari organizzati,
tuttora operanti, hanno determinato il trionfo del Fronte Repubblicano
Guatemalteco, il partito del generale Rìos Montt. Il candidato alla presidenza
Alfonso Portillo è stato eletto al secondo turno ed al Parlamento i suoi uomini
hanno conquistato la maggioranza assoluta dei seggi.
Il domani del Guatemala si presenta ancora una
volta problematico. L'unica speranza di reale cambiamento sembra attualmente
essere rappresentata dall'affermazione sempre più ampia della coalizione di
sinistra Alleanza Nuova Nazione, nata dalla costituzione come partito politico
dell'ex guerriglia dell'URNG, il cui candidato alla presidenza Alvaro Colom ha
ottenuto il 12,4% dei suffragi e che è riuscita ad inviare in Parlamento nove
dei suoi rappresentanti.