come aiutarci:






Conti intestati a AMICI DEL GUATEMALA ODV:
- C.C. Banca Etica IT24X0501802800000011076130 (per bonifici)
- Postale N°12582540 (per versamenti con bollettino postale)

martedì 15 febbraio 2011

Realtà socio-politica del Guatemala


Cenni di storia fino al ripristino del governo civile nel 1986


A partire dalla conquista spagnola fino ad oggi la storia del Guatemala è stata segnata da episodi di feroce sfruttamento e da una situazione di schiavitù lavorativa che ha portato gli indigeni vicino alla scomparsa totale.

Nel 1821 il risveglio nazionalista e il raggiungimento dell'indipendenza dalla Spagna ha portato vantaggi reali soltanto a piccole oligarchie costituite da grandi proprietari terrieri e appoggiate da governi autoritari e violenti cui si sono aggiunti, verso la fine del XIX secolo, gli interessi sempre più preminenti delle grandi multinazionali statunitensi. Solo il decennio 1944-1954 ha segnato una rottura con la tradizione di regimi oppressivi; in quegli anni infatti prese avvio, prima con il governo di Arèvalo e poi con quello di Arbenz, il tentativo di dare al paese un assetto democratico e di avviare una riforma agraria che avrebbe distribuito ai contadini 100.000 ettari di terra espropriati alla United Fruit Company. La reazione fu drastica. Nel 1954 un esercito di mercenari, armato grazie alle sovvenzioni degli Stati Uniti e comandato dal colonello Castillo Armas, abbattè il governo legittimo di Arbenz e instaurò una dittatura militare. Da quel momento in Guatemala si sono avvicendate sanguinose dittature che si sono rese colpevoli di terribili delitti. Con i governi dei generali Lucas Garcia, Rios Montt e Meija Victores le azioni di repressione nei confronti della popolazione, in particolare modo degli indios, sono aumentate in maniera esponenziale finché nel 1983 le Nazioni Unite si sono decise ad intervenire riconoscendo alla nazione lo stato di guerra e condannando il governo militare.

La strategia anti-insurrezione dell'esercito prevedeva la creazione dei Poli di Sviluppo e delle Aldeas Modelo, villaggi in cui, tramite trasferimenti arbitrari, veniva concentrata una notevole parte della popolazione contadina perché potesse essere controllata con maggiore facilità dall'esercito. Un importante ruolo di repressione svolgevano inoltre le Pattuglie di Autodifesa Civile, gruppi paramilitari con compiti di controllo, i cui componenti venivano reclutati, spesso in modo forzoso, tra i contadini.

Le cifre del genocidio sono agghiaccianti. Dalla fine degli anni sessanta fino ad oggi le stime parlano di: 120.000 persone assassinate, 40.000 desaparecidos, 100.000 orfani, un milione di profughi interni (desplazados), 250.000 rifugiati all'estero. Anche la tortura rientrava nella regola: le vittime erano contadini, sindacalisti, uomini politici, studenti, giuristi, giornalisti, religiosi e chiunque accennasse ad una qualsiasi opposizione nei confronti della dittatura.

Nel 1984 il governo militare, sottoposto a forti pressioni da parte delle organizzazioni internazionali e schiacciato da una gravissima crisi economica, decise di riaprire le porte ai civili. Dopo aver indetto le elezioni per la creazione di una Assemblea Costituente preparò una Costituzione già stilata in ogni sua parte da esperti di propria fiducia e la consegnò ai rappresentanti del nuovo organismo affinché la approvassero. Per una maggiore tutela fece inoltre redigere un decreto di amnistia che assicurava l'impunità assoluta a tutti i militari e paramilitari che si fossero resi colpevoli di reati contro i diritti umani.



La presidenza di Vinicio Cerezo


Nel gennaio 1986 dopo le elezioni a cui partecipò solo il 30% degli aventi diritto di voto si insediò in Guatemala la presidenza civile dell'avvocato democristiano Vinicio Cerezo. Le grandi promesse del suo programma elettorale destarono qualche speranza fra la popolazione e soprattutto fruttarono al suo governo cospicui aiuti economici e politici da parte dei paesi occidentali. Purtroppo a distanza di cinque anni dall'inizio della sua presidenza il bilancio risultò assolutamente negativo. I maggiori problemi del paese rimasero quasi completamente irrisolti, quando non addirittura aggravati. Le ripetute e costosissime campagne dell'esercito contro la guerriglia continuarono con sistematiche e generalizzate violazioni dei diritti umani a carico delle popolazioni contadine sfociate talvolta in vere e proprie stragi. Persino la repressione, condotta in modo selettivo dai rifioriti squadroni della morte e da gruppi di militari e poliziotti, non subì rallentamenti. Il mandato di Cerezo si concluse, oltre che nella generale delusione da parte della popolazione, in una situazione di corruzione diffusa a tutti i livelli e nel conseguente crollo della democrazia cristiana, il partito da cui il governo era sostenuto.



La presidenza di Serrano Elìas


Le elezioni presidenziali del 6 gennaio 1991 hanno videro la vittoria di Jorge Serrano Elìas, un outsider sostenuto da ambienti militari e imprenditoriali. La stanchezza e la delusione popolare si sono riflesse sulla partecipazione al voto che risultò ulteriormente diminuita, tanto che il presidente venne eletto con un numero di voti pari al 20% degli elettori. Serrano Elìas, membro di una setta cristiana fondamentalista, appena insediato promise promesso il pieno rispetto dei diritti umani e la punizione dei colpevoli. Sul piano economico impose una politica neo-liberista di tipo reaganiano che ha dato buoni risultati per il risanamento dei conti dello stato, ma ha condannato la stragrande maggioranza della popolazione all'indigenza più nera. A conti fatti si può affermare che durante la sua presidenza la questione dei diritti umani, problema chiave del paese, non ha subito alcun miglioramento rispetto agli anni precedenti ed anzi per certi versi si è aggravata, soprattutto se si considera la situazione di assoluta impunità di cui hanno continuato a godere sia gli autori materiali che i mandanti delle passate azioni repressive.

Il 3/2/1993 in occasione della 49^ sessione della Commissione per i diritti umani dell'ONU, l'osservatore inviato dalle Nazioni Unite, il tedesco Christian Tomuschat, ha presentato un rapporto in cui affermava che in Guatemala, specialmente nelle aree rurali, le violazioni dei diritti umani ad opera di componenti dell'esercito, della polizia e delle pattuglie civili erano all'ordine del giorno. Nella stessa sessione ha mostrato il risultato del proprio lavoro anche Bacra Waly Ndiaye, relatore speciale dell'ONU per le esecuzioni extragiudiziali sommarie e arbitrarie, il quale ha indicato il Guatemala come uno dei casi più gravi al mondo. Ha dichiarato che nel territorio guatemalteco continuavano a verificarsi atti di violenza generalizzata da parte di membri delle forze armate e delle forze di sicurezza a carico di sindacalisti, membri dei gruppi di opposizione, attivisti umanitari, contadini, studenti, professionisti e bambini di strada, il tutto in un clima di assoluta impunità. Nonostante ciò la Commissione dei diritti umani dell'ONU, pur giudicando severamente e con preoccupazione tale situazione, nella risoluzione del 10 marzo 1993, ha deciso di non inserire il Guatemala nel punto 12 del programma, punto in cui vengono collocati i paesi in cui si verificano gravi violazioni dei diritti umani e implicante la nomina di un relatore speciale dell'ONU.

A tale proposito l'ufficio dei diritti umani dell'arcivescovado del Guatemala ha dichiarato che molti paesi dell'America latina non hanno accettato di passare ad una condanna più radicale per paura che l'accusa di violazione dei diritti umani gli si rivoltasse contro. In seguito però, grazie alla pressione congiunta della pubblica opinione internazionale degli organismi di tutela dei diritti umani e di molti paesi occidentali che hanno minacciato di tagliare gli aiuti economici, il governo e l'esercito guatemaltechi sono stati costretti ad aprire un processo di pace. Questo processo, avviato nel marzo 1990, è proseguito attraversando fasi alterne nonostante l'opposizione dell'esercito a cessare le repressioni generalizzate, smantellare gli apparati clandestini armati, arrivare alla punizione dei colpevoli ed accettare il controllo e la supervisione delle Nazioni Unite. Nel frattempo la popolazione guatemalteca ha portato avanti una lotta sempre più ferma volta a combattere l'impunità delle forze repressive e a favorire condizioni di vita più umane. In prima fila per promuovere il processo irreversibile di maturazione politica e sociale si è posta la componente indigena della popolazione ed in special modo le donne. Portavoce e simbolo delle popolazioni indigene e del movimento popolare è tuttora la dirigente del CUC, l'indigena Rigoberta Menchù, alla quale è stato attribuito il premio Nobel per la pace nel 1992, anno del 500° anniversario della scoperta dell'America.



Da Serrano Leon Carpio


Nel maggio 1993, incalzato dalla protesta popolare, sempre meno credibile a livello internazionale e ormai sull'orlo dell'incriminazione per corruzione, Serrano non trovò altra strada che quella dell'auto-golpe, decretando la sospensione della Costituzione, sciogliendo il Parlamento ed esonerando sia la Corte Suprema che il Procuratore dei Diritti umani. Le immediate reazioni internazionali unite alla mobilitazione popolare e soprattutto al mancato appoggio di una parte consistente dell'esercito, fecero fallire il tentativo. Il Parlamento escluse Serrano e nominò presidente Ramiro de Leon Carpio, il Procuratore dei Diritti umani esautorato da Serrano. La soddisfazione e la speranza della popolazione nel vedere eletto presidente un uomo che si era distinto nel denunciare le violazioni dei diritti umani, si raffreddò rapidamente. Riguardo ai problemi di sempre - scioglimento delle Pattuglie di autodifesa civile, ripresa del dialogo con la guerriglia , epurazione dei quadri militari resisi responsabili di violazioni dei diritti umani - le posizioni del nuovo presidente si rivelarono assai differenti rispetto a quelle che aveva assunto in veste di Procuratore e tali da lasciar intendere quanto sia difficile in Guatemala raggiungere e mantenere il potere senza contrattarlo con i militari.

Lungo il 1994 lo sviluppo della politica economica neo-liberale ed il taglio radicale di ogni investimento statale in materia di salvaguardia sociale ha ulteriormente e drammaticamente peggiorato le condizioni di vita della popolazione. Come ha denunciato all'Assemblea di Ginevra Monica Pinto, assessore dell'ONU per i diritti umani, in Guatemala è proseguita la militarizzazione dello Stato e della società: su una popolazione di 10 milioni di abitanti, ben 630.000 risultavano inquadrati più o meno forzosamente in formazioni militari o paramilitari. Naturale conseguenza di ciò è stato un continuo aumento di crimini e violazioni dei diritti umani, nonostante nel paese sia stata istituita nel frattempo una commissione di controllo delle Nazioni Unite denominata Minugua. Anche le trattative di pace tra governo e guerriglia, riprese dopo una lunga pausa grazie alle pressioni internazionali, non hanno risolto i problemi di fondo del paese.



Le elezioni del 1995


A fine 1995 si svolsero di nuovo le elezioni politiche. Nel secondo turno elettorale, tenuto il 7 gennaio 1996, venne eletto presidente del Guatemala il conservatore moderato Alvaro Arzù. Un fatto di grande rilievo, che non si verificava da 40 anni, è stato la partecipazione alle elezioni legislative di un fronte democratico di sinistra, radicato nelle organizzazioni popolari che ha ottenuto, nonostante si fosse formato da appena due mesi e nonostante l'assoluta mancanza di mezzi, sei seggi degli ottanta che costituiscono il Parlamento.



Gli accordi di pace


Appena insediato il presidente Arzù, rappresentante delle classi imprenditoriali più aperte alla modernizzazione e della corrente moderata delle forze armate, realizzò una vera rivoluzione negli alti gradi dell'esercito epurando i generali maggiormente compromessi nelle violazioni dei diritti umani e nella corruzione. Successivamente impresse una decisa accelerazione alle trattative di pace con la guerriglia, concludendo rapidamente gli accordi relativi ai punti sostanziali in sospeso da anni e realizzando quelli relativi al cessate il fuoco ed al reinserimento dei guerriglieri nella vita civile. La firma definitiva della pace che fu stipulata il 29 dicembre 1996 nella capitale guatemalteca alla presenza di capi di governo e di accreditati rappresentanti internazionali, mise fine a 36 anni di conflitto armato interno. In questa sede i comandanti dell'URGN annunciarono la costituzione di un partito politico con cui continuare la lotta democratica e popolare sul terreno civile. I contenuti degli accordi erano tali da permettere radicali miglioramenti rispetto alle condizioni di grande miseria che affliggevano la stragrande maggioranza dei Guatemaltechi. Per garantire la loro applicazione si aprì una stagione di lotta politica e sociale molto importante per il popolo del Guatemala, lotta sostenuta in buona parte anche dalla solidarietà internazionale e in particolare da quella italiana.



Gli ultimi avvenimenti


A distanza di tre anni dagli accordi di pace, nonostante i cospicui aiuti finanziari arrivati dalla comunità internazionale, le speranze dei Guatemaltechi di migliorare le proprie condizioni di vita sono andate ancora una volta deluse. Gli unici veri vantaggi portato dalla pace sono stati la fine della repressione organizzata dallo Stato, anche se persiste, in scala minore e a livello selettivo quella portata avanti dai gruppi paramilitari, e la smobilitazione della guerriglia con conseguente ritorno dei combattenti alla vita civile. Il resto del bilancio risulta negativo perché poco o nulla è stato fatto per la smilitarizzazione della società, per la realizzazione di uno stato multietnico, per l'applicazione degli accordi in campo socio-economico e in particolare nel settore agricolo e per l'approvazione di una riforma tributaria che gravi maggiormente sui ceti abbienti e fornisca risorse finanziarie da reinvestire nello sviluppo del paese. Senza contare che l'adozione selvaggia di politiche economiche neo-liberali ha contribuito a peggiorare ulteriormente le già misere condizioni economiche della popolazione.

Nel frattempo l'eccidio che ha colpito il popolo guatemalteco è stato documentato in modo inoppugnabile da due ampie e circostanziate inchieste. La prima iniziativa, promossa dall'Arcivescovado del Guatemala nel quadro del progetto per il recupero della memoria storica (REMHI) e coordinata dal vescovo ausiliare della capitale Monsigonr Gerardi, si è conclusa con la presentazione, avvenuta il 24 aprile 1998, del rapporto "Guatemala, nunca màs" (Guatemala, mai più) in cui sono elencate migliaia di gravissime violazioni ai diritti umani. Due giorni dopo la pubblicazione del rapporto il Vescovo Gerardi è stato barbaramente massacrato a colpi di pietra sulla porta della sua abitazione da sicari rimasti tuttora impuniti.

La seconda inchiesta è stata condotta dalla Commissione di chiarimento storico prevista dagli accordi di pace e si è conclusa il 25 febbraio 1999 con la presentazione del rapporto "Guatemala, memoria del silenzio". In esso si accerta che in Guatemala, specialmente negli anni fra il 1981 e il 1983 sotto i generali golpisti Lucas Garcìa e Rìos Montt, è stato attuato un vero e proprio genocidio da parte dello Stato ai danni della popolazione civile, in particolar modo di quella indigena.

Nelle elezioni presidenziali e legislative svoltesi nel 1999 il desiderio di punire il governo di Arzù, l'enorme difficoltà da parte della massa di popolazione più povera ad esercitare il diritto di voto e soprattutto la persistente paura generata dai gruppi paramilitari organizzati, tuttora operanti, hanno determinato il trionfo del Fronte Repubblicano Guatemalteco, il partito del generale Rìos Montt. Il candidato alla presidenza Alfonso Portillo è stato eletto al secondo turno ed al Parlamento i suoi uomini hanno conquistato la maggioranza assoluta dei seggi.

Il domani del Guatemala si presenta ancora una volta problematico. L'unica speranza di reale cambiamento sembra attualmente essere rappresentata dall'affermazione sempre più ampia della coalizione di sinistra Alleanza Nuova Nazione, nata dalla costituzione come partito politico dell'ex guerriglia dell'URNG, il cui candidato alla presidenza Alvaro Colom ha ottenuto il 12,4% dei suffragi e che è riuscita ad inviare in Parlamento nove dei suoi rappresentanti.