GLI ASPETTI OSCURI
DEL PROGETTO
PALO VIEJO IN
GUATEMALA
RACCONTATI
DALLA NUOVA
PUBBLICAZIONE
DI RE:COMMON
Roma, 26 luglio
2012 – Re:Common
lancia oggi la sua nuova pubblicazione
“Il caso Palo Viejo in Guatemala”,
frutto di una missione sul campo
tenutasi a inizio dell’anno per
accertare gli impatti socio-ambientali
sulle comunità locali di origine Maya
dell’omonima diga realizzata dalla
compagnia italiana Enel.
L’impianto
idroelettrico è ormai ultimato e
dovrebbe generare fino a 84 megawatt
di elettricità. Secondo un comunicato
dell’Enel, datato 15 marzo, è stato
anche collegato alla rete.
Re:Common
ha potuto constatare in maniera
diretta come Palo Viejo sia collocato
all’interno della Finca San Francisco,
un’immensa piantagione di caffè
gestita dall’Agricola
Cafetelera Palo Viejo. La finca
appartiene alla famiglia Broll ed è
stata messa insieme nel corso del secolo
scorso attraverso la progressiva
sottrazione di terre ai municipi
limitrofi, alle comunità indigene e ai
contadini. Ancora oggi i conflitti sulla
proprietà della terra sono numerosi.
All’interno
della finca si pratica il lavoro
minorile. La raccolta del caffè e il
trasporto dei grani viene svolto
manualmente, i lavoratori sono pagati
tre euro ogni cento chili di caffè e
quelli
stagionali sono ammassati in
baracche collettive chiamate galeras,
in condizione igienico-sanitarie molto
precarie.
Le
popolazioni indigene, inoltre, lamentano
la mancanza di consultazione da parte
dell’azienda, sebbene in questi casi il
dialogo con i gruppi etnici presenti sul
territorio sia previsto dalla
Costituzione del Guatemala e dalla
Convenzione 169 dell’ILO, e una marcata
repressione delle forme di protesta
non-violenta. Il tutto in un’area del
Paese dove durante i lunghi anni della
dittatura e della la guerra civile,
terminata solo negli anni Novanta, si è
registrato il numero più alto di
vittime.
Le
comunità chiedono giuste compensazioni
per i danni subiti dai fiumi e dalle
montagne che abitano da migliaia di
anni, per cui vorrebbero che l’Enel
garantisca loro almeno il 20 per cento
dei profitti derivanti dal progetto.
Per
questo in occasione dell'assemblea degli
azionisti dell'Enel, in programma lo
scorso 30 aprile, insieme ai
rappresentanti di altre comunità
impattate dai progetti della compagnia
convenuti a Roma per lanciare la
campagna “Stop Enel” c'erano anche due
guatemaltechi: il vescovo Alvaro
Ramazzini
e il sindaco della comunità
indigena di San Juan Cotzal Concepcion
Santay Gomez.
“In
un Paese dalla storia drammatica come il
Guatemala, un’impresa dovrebbe agire con
molta cautela. Invece di contribuire ad
acuire i conflitti locali, deve
rispettare non solo le leggi nazionali,
ma anche il diritto e le buone pratiche
internazionali, favorendo processi di
distensione sociale. A maggior ragione
se si tratta di una società ancora in
parte pubblica come l’Enel” ha
dichiarato Caterina Amicucci, autrice
del rapporto