Queste
brevi appunti per portare a Vostra conoscenza la difficile situazione
riguardante il rispetto dei Diritti umani in Guatemala.
Come
ben saprete il paese ha attraversato un periodo di lunga guerra civile interna
terminata con gli Accordi di pace del 1996. Il conflitto ha prodotto oltre 200
mila morti tra la popolazione civile in gran parte indigena. Tutti ricorderete
che nel 1992 il Premio Nobel Per la Pace venne consegnato nelle mani di una minuta
indigena, Rigoberta Menchú Tum, "in
riconoscimento dei suoi sforzi per la giustizia sociale e la riconciliazione
etno-culturale basata sul rispetto per i diritti delle popolazioni indigene
guatemalteche".
Attualmente,
mentre a livello governativo si cerca di negare il genocidio delle popolazioni
Maya, la situazione è progressivamente peggiorata. L’innalzamento di una
violenza diffusa, specialmente nelle aree urbane, legata alla penetrazione dei
cartelli del narcotraffico ed alle organizzazioni criminali che gestiscono la
tratta degli esseri umani verso il Nordamerica, si lega con la recrudescenza
della violenza politica verso i difensori dei Diritti umani.
Da
molti mesi circolano – sulla la pagina web della Fundación contra el terrorismo ad esempio-
vere e proprie liste di “indesiderati”; vescovi, sacerdoti, sindacalisti,
maestri, difensori dei Diritti umani e
autorità indigene. L’esperienza ci insegna che i metodi brutali di repressione
usati nel periodo della guerra interna e riproposti in questi ultimi anni sono l’allarme di un’insidiosa
generalizzazione della violenza, che
attraverso le pratiche di sequestro e sparizione di uomini e donne disegnano la figura del “nemico
interno”.
Prima
si individuano gli obiettivi umani , si costruisce una campagna denigratoria
contro di loro isolandoli dal resto della comunità fino ad eliminarli con
stratagemmi che tendono a screditare le
loro valenze sociali.
Se
vogliamo ricostruire brevemente quanto è successo in questi due ultimi anni non
possiamo non ricordare il primo massacro compiuto nel periodo posteriore agli
accordi di pace e la decisione di giudicare in un Tribunale
della nazione l’ex dittatore, il generale Efraín Ríos
Montt.
Il
4 ottobre 2012, al chilometro 170 della strada Interamericana per Totonicapan,
reparti dell’Esercito sparano su una manifestazione pacifica che reclama la
propria contrarietà alle riforme
costituzionali, alle modifiche del piano di studi delle magistrali e all’alto
costo dell’energia elettrica. Sul terreno rimangono otto morti e 34 feriti. In
tutto il paese decine di manifestazioni vengono represse con inaudita violenza.
Il 19 marzo dell’anno successivo inizia il procedimento
contro Montt, accusato di essere il mandante di numerosi massacri avvenuti
nell’area conosciuta come il Triángulo Ixil, nel nordest del paese, dove furono
uccisi 1.771 indigeni. Secondo i dati raccolti grazie alle esumazioni, quasi la
metà dei morti era rappresentata da bambini tra zero e dodici anni.
Il 10 maggio 2013, il Tribunale
Primero A de Mayor Riesgo emette la sentenza contro il generale Ríos Montt
per genocidio e crimini contro l'umanità, dopo aver ascoltato le dichiarazioni
di 98 testimoni, tra cui oltre 50 esperti militari, dopo aver esaminato 606
certificati di morte delle vittime di 17 massacri, degli studi sui resti di 420
corpi dopo aver analizzato i piani militari
Victoria 82, Fermezza83 e Sofia. L’ottantaseienne genocida viene condannato a
80 anni di reclusione.
Il mondo si ricorda del Guatemala, la
sentenza viene salutata nel paese centroamericano, e non solo, come una svolta
storica, come se per la prima volta si fosse vinta l’impunità dei vertici
militari e di Governo cancellando il brutto presagio, indotto da
un’altra Corte, che solo un mese addietro aveva sospeso il giudizio con la
volontà di non processare il militare.
La
presidentessa della Corte Yassmin Barrios e il Procuratore generale Claudia Paz y Paz,
che con il suo team di magistrati aveva condotto l’istruttoria, riconsegnano al
paese un poco di dignità ed aprono una pagina nuova per la prima volta dopo gli
accordi di pace del 96.
Tuttavia, dieci giorni
dopo, il 20 Maggio 2013, la Corte Costituzionale del Guatemala ha annullato la sentenza contro il
genocidio. Due dei cinque giudici
della Corte, Mauro Roderico Chacón Corado e Gloria Patricia Porras Escobar
hanno voluto argomentare il loro "dissenso", sostenendo che è stato
trovato un artificio volto ad
ostacolare il normale processo di processo e evitare il giudizio. Gli altri tre giudici hanno
votato a favore della sospensione del processo.
Secondo la corte
costituzionale sono state violate le procedure del giusto processo e quindi si
tornerà in aula. Bisogna risentire tutti i testimoni, senza considerare che per
molti di loro non sarà possibile ritornare più volte fino alla capitale sede
della Corte e soprattutto non sarà facile ricordare ancora una volta lo sterminio della propria famiglia.
Nelle
settimane successive reparti dell’Esercito e delle squadre anti sommossa occupano
diverse regioni del paese decretando lo
Stato d’assedio, limitando le libertà personali fino a minacciare i testimoni
viventi dei terribili massacri della guerra interna. Vengono addirittura
minacciati alcuni dei testimoni al processo ai quali si chiede di rinnegare
tutto in cambio di tranquillità.
La decisione della Corte
Costituzionale, purtroppo è stata utilizzata dagli ex militari, ex soldati e
gruppi di provocatori - crescono a dismisura le polizie private -, con un
chiaro scopo di vendetta, per aumentare le minacce contro i testimoni, vittime
e sopravvissuti; per accrescere la guerra psicologica e la criminalizzazione
dei movimenti sociali, dei loro leader e innalzare il livello di scontro in
diverse regioni del paese volto a distruggere il clima pacifico che le Comunità
e le autorità indigene insieme a
numerose organizzazioni sociali hanno costruito negli ultimi anni.
Il 7 settembre del 2013,
una altro massacro, a San José Nacahuil, Municipio de San Pedro Ayampuc. Dieci
persone uccise e 17 ferite. Tra i corpi rimasti a terra quelli di due bambine
di 11 anni. La comunità indigena di etnia Kaqchikel è impegnata pacificamente
da anni nella difesa del territorio contro gli speculatori delle aziende
idroelettriche e minerarie.
E poi ancora il 13 di gennaio nella zona del Triangolo Ixil
vengono violentemente aggrediti il sindaco indigeno di Antiguo Xoncá insieme ad
altre autorità ancestrali che si battono contro un’idroelettrica.
E arriviamo al gennaio
scorso quando nella giornata del 12 la giudice Carol
Patricia Flores ha sospeso definitivamente il processo contro Ríos Montt. Questo significa per molti giuristi
l’archiviazione del caso o nella migliore delle ipotesi ricominciare tutto
dalla situazione del novembre del 2011 quando il dittatore venne accusato per
la prima volta.
Quattro giorni dopo Juan Tuyuc, il Comandante Leo come era chiamato
negli anni del conflitto interno, leader indigeno e popolare viene assassinato nei
pressi di Sololà. Juan e il fratello della più conosciuta Rosalina Tuyuc,
premio Nikkyo Niwano per la Pace nel 2012, deputata e storica fondatrice del
Coordinamento Nazionale delle vedove del Guatemala (Conavigua). Viene ucciso
con modalità atroci che ricordano l’assassinio di altri membri della sua
famiglia. Perché sia chiaro che si muoveva troppo tra le comunità - per
costruire una rete in difesa delle terre - gli vengono tagliate le dita dei
piedi.
Il 10 febbraio scorso un’ incomprensibile sentenza della Corte Costituzionale, già
fortemente criticata da giuristi interni e di diversi paesi, ha annullato l’incarico
di Procuratore Generale, in scadenza a dicembre 2014, a Claudia Paz y Paz. Al
suo posto si vuol nominare un magistrato fedele a quella linea che impone il
silenzio o peggio ancora la negazione del genocidio.
La triste realtà è
rappresentata dal fatto che per i prossimi mesi, la giudice che aveva raccolto
le accuse contro il dittatore non potrà esercitare il suo magistero e con buona
probabilità dovrà rinunciare alla sicurezza di una scorta.
Come se non bastasse lo
scorso 3 marzo le cronache guatemalteche
sono piene dello strano “suicidio” di Cesar Barrientos Pellecer, magistrato
impegnato nell’istruttoria contro Ríos Montt
e considerato dai gruppi dell’ultra destra come il “mandante dei giudici sicari”.
Molti sono i gruppi italiani che a cominciare dagli anni 80 hanno
lavorato al fianco delle popolazioni guatemalteche. Questi gruppi, sono
organizzati in un Coordinamento nazionale Italia-Guatemala, Caminando juntos. Il
Coordinamento è formato da decine di Associazioni, Onlus e ONG che lavorano in
tutte le regioni guatemalteche, nel campo dell’istruzione, del commercio equo e
solidale, della tutela dei minori e della formazione professionale, con
istituzioni laiche e cattoliche, con comunità rurali e indigene, con parrocchie
e istituzioni universitarie. Nella campagna diffamatoria che i potenti gruppi
paramilitari e dell’esercito stanno portando avanti molte di queste realtà sono
considerate come sgradite; soprattutto in questo momento storico, segnato da
una violenza diffusa, la confusione sui mandanti può essere un ottimo schermo
per la crescita dei crimini a sfondo sociale e politico .