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giovedì 10 settembre 2015

PROFUGHI: una riflessione



Tutti abbiamo visto Aylan riverso sulla spiaggia. Tutti noi siamo i genitori di Aylan, di noi tutti Aylan è figlio. È possibile, mi chiedo, che un genitore disinteressatamente lasci morire così il proprio figlio? E anche se vi fosse, è possibile che l’umanità uccida i propri figli e in loro uccida se stessa?
Tutti abbiamo visto il gesto pietoso del soccorritore. Possibile che l’umanità arrivi solo quando c’è da contare il numero dei morti? Ma che mostro orrendo è questa umanità, che divora, come Cronos, i suoi figli? Quando finirà questa follia della guerra, degli odi, delle divisioni, delle opposizioni?
Ma ci vogliono sempre migliaia e migliaia di morti per far capire che la fratellanza, l’amicizia, l’accoglienza sono gesti più belli dell’odio e dell’indifferenza?
Tutti abbiamo visto il gesto pietoso del soccorritore raccogliere il piccolo Aylan, nostro figlio, – faccio fatica a scriverlo –  spiaggiato come un pesce qualsiasi o come una bottiglia gettata in mare. Con lui vi sono le tante migliaia di persone annegate e spiaggiate nell’indifferenza e nella durezza dei cuori di nazioni e di popoli senza pietà e senza anima.

I giornali di oggi 8 settembre riportano in gran parte la “spartizione” di questa umanità che fugge da guerre, da fame, da violenze, dalla morte: 15 mila in Inghilterra, i Siriani in Germania, 30 mila in Francia, e così via.
Chi ci vede invasione, chi ci vede guadagni, chi ne sente paura… insomma nessuno è pronto per accogliere queste vite umane che bussano alla porta.
La gente ha paura della vita. L’umanità intera ha paura della vita. Il mondo ha paura della vita. Non so se ci rendiamo conto di quello che si sente: abbiamo paura della vita! La durezza del cuore e l’indifferenza per gli altri sono nate da quando abbiamo avuto paura dei figli, la desertificazione dei nostri paesi è l’immagine di questa paura. Ma se abbiamo paura dei nostri figli come possiamo accogliere gli altri? Ebbene questa migrazione sembra la vendetta della vita contro la cultura della morte che ormai da una cinquantina d’anni l’Europa sta praticando. Come possiamo avere paura della vita che viene a rinvigorirci, ha ridonarci energia, come una trasfusione di sangue per un moribondo?

I giornali dunque riportano lo sforzo immediato che le nazioni debbono concordare per far sopravvivere (perlomeno) questo immane esodo di uomini. I politici, il Papa, le autorità varie sollecitano l’accoglienza, la disponibilità, per venire incontro al disagio di questa umanità allo sbaraglio. Sforzo notevole, lodevole, ammirabile. Ed è doveroso qui ricordare poi coloro che, contro le stesse leggi politiche, hanno obbedito a leggi umane e divine che sono più degne ed elevate, accogliendo a proprio rischio gente implorante aiuto, senza curarsi di se stessi e dei propri beni. Cito un caso per tutti dell’ex primo ministro ungherese Ferenc, che ha aperto la propria casa a tutti i rifugiati che lì capitavano, contro ogni legge e decreto dettato dal governo Ungherese per arginare il flusso dei migranti. Esempio questo già attuato a Lampedusa e ai confini francesi da tante famiglie che hanno obbedito alla solidarietà e alla misericordia piuttosto che alle leggi inumane dei loro paesi.
Tuttavia manca un piano politico dell’accoglienza, un piano che avrebbe permesso non solo di pargheggiare i migranti, ma di dar loro un posto e un ruolo. Eppure le avvisaglie di questo esodo c’erano state e da anni, senza che nessun politico abbia avuto un barlume di lungimiranza nel capire e programmare un piano di accoglienza degna e umana. Certamente può essere bello mostrarsi caritatevoli, ma è evidente che risulta una forma di elemosina che, per quanto buona, rivela anche l’opposto: ossia la poca attenzione alla giustizia, alla solidarietà, alla uguaglianza tra esseri umani. Tra questi non c’è il ricco e il povero ma c’è quella uguaglianza che rende fratelli. La carità è la forma più grande di rapporto con l’altro perché ne esprime l’amore, ma se si ferma alla elemosina diventa una specie di umiliazione. Ecco perché avevamo bisogno di un progetto d’accoglienza: stanno arrivando i nostri fratelli, non una massa informe d’individui da elemosinare.

Infine dov’è l’ONU? Ossia questa Organizzazione che comincia il trattato sui diritti umani così: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti» e che avrebbe garantito questi diritti a tutti gli esseri umani, a questo punto non si sa più se per presa in giro o per pura chiacchiera.
Dov’è l’ONU quando nazioni saccheggiano e sfruttano altre nazioni rendendo la vita dei popoli impossibile, e poi defilarsi anche quando non si sa più come risolvere il dolore, l’umiliazione, la schiavitù di immense popolazioni in balia di traffici economici e d’interessi politici e di potere? Come può un umanità andare avanti quando fa di tutto  per uccidere se stessa?

Ho visto in Grecia famigliole e persone ben messe e vestite: queste non erano banditi che scappavano dalle patrie galere, queste erano persone che avevano una professione, un lavoro, un ruolo nella società. I bambini andavano scuola, giocavano coi compagni, crescevano nella loro terra… Questi sono dovuti scappare di fronte alla morte. Ebbene vengono da noi e non sono più nessuno, non hanno più dignità, né un ruolo. Magari quell’uomo o quella donna saranno stati un medico, un avvocato… si ritrovano a pulire i vetri a un semaforo. Non so se ci si rende conto della umiliazione, dell’abbandono, dello svilimento che un uomo può sentire per sé e per i propri figli. Ecco perché l’elemosina non è sufficiente, e c’è bisogno di un’attenzione più profonda per questa umanità che chiede solo di vivere dignitosamente.
Ben venga la carità, ma è doveroso chiedere a uno Stato che si vanta di aver abolito tortura, pena di morte e quant’altro, di accogliere dignitosamente e con rispetto tutti coloro che da morte scappano.
Athos Turchi