Tutti
abbiamo visto Aylan riverso sulla spiaggia. Tutti noi siamo i genitori di
Aylan, di noi tutti Aylan è figlio. È possibile, mi chiedo, che un genitore
disinteressatamente lasci morire così il proprio figlio? E anche se vi fosse, è
possibile che l’umanità uccida i propri figli e in loro uccida se stessa?
Tutti
abbiamo visto il gesto pietoso del soccorritore. Possibile che l’umanità arrivi
solo quando c’è da contare il numero dei morti? Ma che mostro orrendo è questa
umanità, che divora, come Cronos, i suoi figli? Quando finirà questa follia
della guerra, degli odi, delle divisioni, delle opposizioni?
Ma ci
vogliono sempre migliaia e migliaia di morti per far capire che la fratellanza,
l’amicizia, l’accoglienza sono gesti più belli dell’odio e dell’indifferenza?
Tutti
abbiamo visto il gesto pietoso del soccorritore raccogliere il piccolo Aylan,
nostro figlio, – faccio fatica a scriverlo –
spiaggiato come un pesce
qualsiasi o come una bottiglia gettata in mare. Con lui vi sono le tante
migliaia di persone annegate e spiaggiate nell’indifferenza e nella durezza dei
cuori di nazioni e di popoli senza pietà e senza anima.
I giornali
di oggi 8 settembre riportano in gran parte la “spartizione” di questa umanità
che fugge da guerre, da fame, da violenze, dalla morte: 15 mila in Inghilterra,
i Siriani in Germania, 30 mila in Francia, e così via.
Chi ci vede
invasione, chi ci vede guadagni, chi ne sente paura… insomma nessuno è pronto
per accogliere queste vite umane che bussano alla porta.
La gente ha
paura della vita. L’umanità intera ha paura della vita. Il mondo ha paura della
vita. Non so se ci rendiamo conto di quello che si sente: abbiamo paura della
vita! La durezza del cuore e l’indifferenza per gli altri sono nate da quando
abbiamo avuto paura dei figli, la desertificazione dei nostri paesi è
l’immagine di questa paura. Ma se abbiamo paura dei nostri figli come possiamo
accogliere gli altri? Ebbene questa migrazione sembra la vendetta della vita
contro la cultura della morte che ormai da una cinquantina d’anni l’Europa sta
praticando. Come possiamo avere paura della vita che viene a rinvigorirci, ha
ridonarci energia, come una trasfusione di sangue per un moribondo?
I giornali
dunque riportano lo sforzo immediato che le nazioni debbono concordare per far
sopravvivere (perlomeno) questo immane esodo di uomini. I politici, il Papa, le
autorità varie sollecitano l’accoglienza, la disponibilità, per venire incontro
al disagio di questa umanità allo sbaraglio. Sforzo notevole, lodevole,
ammirabile. Ed è doveroso qui ricordare poi coloro che, contro le stesse leggi
politiche, hanno obbedito a leggi umane e divine che sono più degne ed elevate,
accogliendo a proprio rischio gente implorante aiuto, senza curarsi di se
stessi e dei propri beni. Cito un caso per tutti dell’ex primo ministro
ungherese Ferenc, che ha aperto la propria casa a tutti i rifugiati che lì
capitavano, contro ogni legge e decreto dettato dal governo Ungherese per
arginare il flusso dei migranti. Esempio questo già attuato a Lampedusa e ai
confini francesi da tante famiglie che hanno obbedito alla solidarietà e alla
misericordia piuttosto che alle leggi inumane dei loro paesi.
Tuttavia
manca un piano politico dell’accoglienza, un piano che avrebbe permesso non
solo di pargheggiare i migranti, ma di dar loro un posto e un ruolo. Eppure le
avvisaglie di questo esodo c’erano state e da anni, senza che nessun politico
abbia avuto un barlume di lungimiranza nel capire e programmare un piano di
accoglienza degna e umana. Certamente può essere bello mostrarsi caritatevoli,
ma è evidente che risulta una forma di elemosina che, per quanto buona, rivela
anche l’opposto: ossia la poca attenzione alla giustizia, alla solidarietà,
alla uguaglianza tra esseri umani. Tra questi non c’è il ricco e il povero ma
c’è quella uguaglianza che rende fratelli. La carità è la forma più grande di
rapporto con l’altro perché ne esprime l’amore, ma se si ferma alla elemosina
diventa una specie di umiliazione. Ecco perché avevamo bisogno di un progetto
d’accoglienza: stanno arrivando i nostri fratelli, non una massa informe
d’individui da elemosinare.
Infine dov’è
l’ONU? Ossia questa Organizzazione che comincia il trattato sui diritti umani
così: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti» e
che avrebbe garantito questi diritti a tutti gli esseri umani, a questo punto
non si sa più se per presa in giro o per pura chiacchiera.
Dov’è l’ONU
quando nazioni saccheggiano e sfruttano altre nazioni rendendo la vita dei
popoli impossibile, e poi defilarsi anche quando non si sa più come risolvere
il dolore, l’umiliazione, la schiavitù di immense popolazioni in balia di
traffici economici e d’interessi politici e di potere? Come può un umanità
andare avanti quando fa di tutto per
uccidere se stessa?
Ho visto in
Grecia famigliole e persone ben messe e vestite: queste non erano banditi che
scappavano dalle patrie galere, queste erano persone che avevano una
professione, un lavoro, un ruolo nella società. I bambini andavano scuola,
giocavano coi compagni, crescevano nella loro terra… Questi sono dovuti
scappare di fronte alla morte. Ebbene vengono da noi e non sono più nessuno,
non hanno più dignità, né un ruolo. Magari quell’uomo o quella donna saranno
stati un medico, un avvocato… si ritrovano a pulire i vetri a un semaforo. Non
so se ci si rende conto della umiliazione, dell’abbandono, dello svilimento che
un uomo può sentire per sé e per i propri figli. Ecco perché l’elemosina non è
sufficiente, e c’è bisogno di un’attenzione più profonda per questa umanità che
chiede solo di vivere dignitosamente.
Ben venga la
carità, ma è doveroso chiedere a uno Stato che si vanta di aver abolito
tortura, pena di morte e quant’altro, di accogliere dignitosamente e con
rispetto tutti coloro che da morte scappano.
Athos Turchi